Solo ieri

 

Solo ieri la società del benessere prometteva il risarcimento di sofferenze accumulate nei secoli. Lo sviluppo economico e tecnologico, si pensava, avrebbe dischiuso un’età nuova,  in cui sarebbe stato lecito godere di frutti così a lungo sospirati. Anziché lavorare duramente, per concedere un futuro migliore ai figli, ciascuno avrebbe colto quel che la vita offre, realizzando un diritto finora ingiustamente conculcato.

Solo ieri l’abbondanza straripante di merci e servizi, di cui l’industria e le istituzioni inondavano il sociale, forniva la rassicurazione che nessuno, nei confini della nostra civiltà, sarebbe più rimasto privo del necessario per vivere. Tutt’al più, al di là di quei confini, turbe innumerevoli premevano per godere dello stesso privilegio, e un ragionevole calcolo suggeriva che non ce ne sarebbe stato per tutti. Ma intanto, finché le cose in qualche modo andavano, si preferiva rimuovere il problema, rinviando a un indefinito domani quel che nell’oggi era possibile scansare.

Solo ieri nell’ottundimento dei consumi si assopivano tensioni ideali e scontri ideologici, conflitti di classe e di coscienza, domande esistenziali e pensiero critico. Un confortevole torpore era calato sui drammi da cui la vicenda umana era stata fin qui segnata: una caligine avvolgente a cui veniva dato il nome di postmoderno. L’idea che gli uomini andassero educati a esser tali pareva un residuo metafisico di cui finalmente liberarsi.

Solo ieri si invitava a prender atto della morte di Dio e del venir meno di ogni valore, si proclamava il sì a una terra che intanto si depredava, si rendeva nei fatti testimonianza al nulla. Come la gente comune usciva coi carrelli stracolmi dai supermercati, così i sapienti, immemori di sé, scambiavano la loro missione per un privilegio ozioso. Ciascuno pareva chiedersi: cosa posso ancora godere della vita fuggevole che mi scorre innanzi?

Solo ieri tutto ciò. Ma, come se un’eternità fosse trascorsa, vediamo le dure e amorevoli leggi che in ogni tempo regolano la vita punire la stoltezza di chi le ha così disinvoltamente infrante. Viene da pensare a quel capolavoro di saggezza che è Pinocchio e alla sua avventura nel Paese dei Balocchi. I ragazzi, che sono accorsi a frotte al richiamo di un luogo dove non si studia né si lavora, si risvegliano un giorno trasformati in asini, e sono venduti come animali da fatica.

Potremo evitare una sorte infausta, non senza pagare un prezzo, prendendo coscienza di quel che è in realtà avvenuto, di quale seduzione ci abbia alienato le nostre radici, di quali condizioni vi ci possano ricondurre. Dovremo dire grazie, se ciò accadrà, a quanti non hanno perso il lume dell’intelletto, remando con fatica controcorrente, e hanno conservato la fede, anche se talora non avrebbero saputo dire in cosa; agli studiosi, innanzitutto, che non hanno rinunciato a percorrere le vie di una vera sapienza; alle famiglie che hanno continuato, nonostante tutto, a educare i figli; a quanti, in ruoli pubblici e privati, hanno sentito di doversi mantenere onesti. A tutti costoro, eroi per lo più anonimi di questo nostro tempo, va tutta la nostra gratitudine. 

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