Libertà religiosa e reciprocità

Roberto Catalano

 

 

papa-animista1. Premessa

Qualche parola sul taglio di questo intervento. Perché questo titolo, che sottolinea non solo il diritto alla libertà religiosa, ma anche la reciprocità?

Il diritto alla libertà religiosa, tutt’altro che definito nella vita quotidiana, anche se affermato da documenti ufficiali sia delle Nazioni Unite che delle Chiese cattolica e protestanti, ha una lunga storia alle sue spalle. Non è il risultato di una filosofia o teologia, ma una risposta concreta ad una storia collettiva che ha fatto vittime fra appartenenti a tutte le fedi e tradizioni religiose, provocando immense sofferenze[1]. Oggi, per esempio, si parla di cristianofobia, ma anche di islamofobia, e per secoli la piaga dell’antisemitismo ha costellato la storia fino alla tragedia della Shoah. Una piaga che spesso riemerge. È, quindi, un cammino che vede tutti coinvolti, a qualsiasi cultura, etnia e religione si appartenga. Per questo la reciprocità diventa un aspetto decisivo.

1.1 Un’esperienza personale su cui riflettere

Permettetemi un episodio personale.

Qualche anno fa mi trovavo in una città sacra dell’induismo, Madurai, sede di uno dei templi più belli delle religioni dell’India, il Meenakshi Temple. Alcuni amici gandhiani mi avevano invitato ad un incontro dove, unico straniero, mi avevano chiesto di presentarmi e di parlare della mia esperienza di dialogo con persone di altre fedi. La maggioranza erano indù, c’era qualche musulmano ed un sacerdote cattolico, incaricato del dialogo nell’arcidiocesi.

Finito il mio intervento, si alzò un uomo sulla quarantina che iniziò una terribile filippica nei confronti dei cristiani e delle scuole tenute da sacerdoti e suore. Sua figlia, una teen-ager, aveva studiato presso uno di questi istituti ed era stata obbligata a studiare il cristianesimo e imparare le nostre preghiere. Secondo il padre, la ragazzina stava perdendo la sua identità indù. Il tono della voce era tutt’altro che conciliante e, quando ebbe finito di parlare, si creò un grande imbarazzo nei presenti. Il sacerdote cattolico verso il quale mi volsi nella speranza di un aiuto, fissò il pavimento, segno inequivocabile di non interferenza con il genitore. Non sapevo cosa fare, sapendo che il mio essere straniero non aiutava certo la situazione. Il cristianesimo in India ed in Asia è spesso tacciato di essere una religione che si dedica al proselitismo e questo, di certo, non facilitava la mia posizione.

Mi venne in mente la scena di Giovanni Paolo II, che pochi anni prima aveva chiesto perdono a vari popoli, incluso quello ebraico ed aveva infilato la lista delle colpe nelle fessure del Muro del Pianto. Era una scena che aveva sciolto i dubbi di molti scettici. Anche ad Assisi, nel 1986, nel corso dell’Incontro di Preghiera per la Pace, il Papa polacco aveva affermato: «Sono pronto a riconoscere che i cattolici non […] siamo sempre stati costruttori di pace. Per noi stessi, quindi, ma anche – forse – per tutti, questo incontro di Assisi è un atto di penitenza»[2].

Presi coraggio e chiesi perdono al mio interlocutore dal nome quasi impronunciabile che ancora ricordo: Mr. Srinivasan. Lo feci come  rappresentante di quel mondo cristiano che aveva ferito quella famiglia. Immediatamente, uno dei Gandhiani che mi aveva invitato, un signore sulla settantina che camminava a fatica per aver percorso, in gioventù, migliaia di chilometri insieme a Vinobha Bhave, l’erede di Gandhi che chiedeva le terre dei ricchi per darle ai poveri, prese la parola. Rimasi incredulo, quando rivolgendosi al padre della ragazza gli chiese: «Quanti di noi indù hanno il coraggio di curare lebbrosi ed ammalati di AIDS? Chi lo farebbe se non lo facessero i cristiani?». Rimasi sorpreso da questo intervento, ma mi servì a capire quanto possa essere apprezzato chi riconosce i propri errori, che fra l’altro tutti facciamo. Se non altro li han fatti i nostri padri.

 

2. Come ci vedono gli altri? Una prospettiva: la Regola d’oro

Questo episodio di vissuto personale può aiutare a capire che gli altri ci vedono, in modo diverso da come noi ci percepiamo o pensiamo di essere. Non si tratta di quali siano le nostre intenzioni, ma come vengono colte ed interpretati comportamenti, impostazioni di pensiero e politiche formative.

La reciprocità, infatti, si fonda su un elemento presente in tutte le culture e religioni, la Regola d’oro, che, nata da una sapienza ancestrale, propone di non fare agli altri ciò che non si desidera sia fatto a noi. Ha radici lontane che risalgono alla sapienza orientale. Sembra sia stato Confucio in Cina ad averla formulata per la prima volta. Altre fonti sostengono che sia stata definita in prima assoluta da Zarathustra in Persia. Qualunque sia la provenienza, si tratta di un’intuizione ormai plurimillenaria. Può essere motivante scorrere le diverse formulazioni, spesso quasi identiche anche nelle parole che la esprimono.

Partiamo dalla citazione riportata nei Dialoghi di Confucio.

«Tzu-kung domandò: "Vi è una parola su cui si possa basare la condotta di tutta la vita?". "Essa è shu, reciprocità - rispose Confucio - Ciò che non vuoi sia fatto a te non fare agli altri[3].

Anche nelle religioni dell’India ci sono varie citazioni vecchie di millenni. Nell’induismo si tramanda questo suggerimento

«Non ci si dovrebbe comportare con gli altri in un modo che sarebbe sgradevole a noi stessi; questa è l'essenza della morale»[4].

Per i buddhisti la citazione che è più seguita suggerisce di notare che

«uno stato che non è gradevole o piacevole per me, non deve esserlo neppure per lui; e uno stato che non è gradevole o piacevole per me, come posso io pretenderlo per un altro[5].

Dall’antica Persia ci giungono queste due frasi

«Buona è soltanto quella natura che non fa agli altri ciò che non è buono per lei»[6]. «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Questa è la legge e i profeti»[7].

Veniamo, infine, alle religioni del Libro. Nell’ebraismo

«Ama il prossimo tuo come te stesso»[8]. «Una volta un pagano (...) disse: "Convertimi, a condizione di imparare tutta la Torah nel tempo in cui si può stare ritti su di un solo piede". (...). Hillel lo convertì dicendogli: "Ciò che a te non piace non farlo al tuo prossimo! Questa è tutta la Torah, il resto è commento; va' e studia»[9].

Infine l’islam:

«Nessuno di voi è un credente fino a quando non desidera per il suo fratello quello che desidera per se stesso»[10].

Vorrei concludere con la citazione dal Vangelo di Matteo

«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt. 7,12)

La citazione coranica e soprattutto quella evangelica si distinguono dalle altre: sono, infatti, positive. Quindi, se questa Regola ci aiuta a capire quanto sia importante la reciprocità, l’affermazione riportata in Matteo interroga noi cristiani non solo su quanto devono fare gli altri, ma su quanto possiamo fare noi. Sembra, dunque, chiaro che come cristiani siamo chiamati a prendere l’iniziativa a favore del rispetto della libertà religiosa. Si tratta, infatti, di fare agli altri quanto vorremmo loro facciano a noi.

3. Un excursus storico

A questo proposito, come occidentali e come cristiani, non possiamo vantare dei precedenti particolarmente positivi, come ha riconosciuto recentemente anche Benedetto XVI che, ad Assisi il 26 ottobre scorso, di fronte ai leaders religiosi ha avuto il coraggio di riconoscere:

«Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo pieni di vergogna»[11].  

L’attuale papa è stato profondamente onesto in questa sua dichiarazione. «La Chiesa, infatti, dall’originario annuncio del Vangelo fino al Concilio Vaticano II, ha sempre ricordato che l’uomo è creatura di Dio, che Dio è il suo salvatore, che l’uomo è chiamato ad essere figlio di Dio [...] ha annunciato la fondamentale dignità umana e, di conseguenza e ovviamente, che la fede nel Vangelo deve affiorare liberamente nel cuore dell’uomo. Non ha, tuttavia, tratto le conseguenza di tutto ciò, che all’uno spetta fondamentalmente il diritto della libertà di religione. [...] fino alla metà del XX secolo, la libertà di religione non è stata considerata come legittima conseguenza della dignità dell’uomo che è persona e immagine di Dio[12]». Un famoso islamologo tedesco, Kerber, afferma che «l’islam nel corso della storia si è mostrato normalmente più tollerante di quanto avrebbe dovuto esserlo se avesse seguito i dettami del proprio essere. Il cristianesimo, d’altra parte, si è mostrato meno tollerante di quanto avrebbe dovuto, se avesse seguito il comandamento dell’amore, insegnato da Gesù[13]».

3.1 I primi secoli

Tuttavia, non possiamo negare che il cristianesimo stesso sia nato su un atto di mancato riconoscimento della libertà di professione di fede altrui. L’evento centrale del cristianesimo, la morte (che successivamente ha portato alla resurrezione) di Gesù è stato un atto tipico di negazione di professione di un altro modo di credere. Gesù è stato condannato ed i suoi apostoli, poi, martirizzati perché il loro modo di essere religiosi e di vivere la fede era visto come sovversivo nei confronti sia di Israele che della religione di stato dell’impero romano. «Il cristianesimo nei suoi primi tre secoli è vissuto spesso in uno stato di persecuzione: si potrebbe parlare addirittura di ‘una religione dei perdenti’[14]».

La situazione è cambiata radicalmente dall’epoca costantiniana e l’occidente cristiano per quasi due millenni, attraverso, soprattutto, collusioni fra colonialismo e missione, sembra aver dimenticato le sue origini. Ancor più, suggerisce Andrea Riccardi, i cristiani hanno ucciso loro correligionari più di quanto abbia fatto l’impero romano per difendere la sua religione di stato. E lo hanno fatto, i cristiani, per guerre di religione, per lotta ad eresie e scismi. Allo stesso tempo, nell’ultimo secolo i cristiani che hanno dato la vita per la loro fede sono più numerosi di quelli uccisi nell’Impero Romano nei primi tre secoli[15]. Quindi, in un modo o nell’altro tutti siamo colpevoli e, anche, vittime per quanto riguarda il rispetto dell’altro e della sua professione religiosa.

3.2 Uniformità di religione

L’unità (o uniformità) di religione come requisito alla pace diventò, a partire dal IV secolo, un principio fondamentale per la società civile e per il bene comune degli uomini. Quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dello Stato, dopo Costantino, la Chiesa si attenne sempre al principio che la fede dev’essere un atto di libertà. Lo Stato, tuttavia, perseguitava eretici e scismatici e questo continuò con Carlo Magno che sconfisse i sassoni e, in nome del cristianesimo, li convertì come popolo. Di fatto, Chiesa e società per secoli sono rimasti un tutt’uno sacro con re e principi ad avere un ruolo civile, ma anche religioso e vescovi ed abati che avevano responsabilità civili. Non mancavano le tensioni, ma la soluzione stava sempre nel preservare questa unità. E’ un principio che, con alcune modifiche, ha sopravvissuto per secoli e non solo in occidente, ma anche nell’Oriente ortodosso, e durante le varie fasi della Riforma, con Luterani, Anglicani e Riformati.

Lo stesso Trattato di Westfalia che, a metà del XVII secolo, metteva fine alle guerre di religione dei cosiddetti trent’anni, aveva determinato che la religione di uno stato fosse quella del suo re o principe. Chi si scostava o si opponeva, come per esempio gli Anabattisti nel XVI secolo veniva perseguitato. La libertà religiosa era generale, ma solo per chi accettava le regole del gioco.

Le cose hanno cominciato a cambiare con l’Illuminismo e le varie rivoluzioni in Francia e negli USA alla fine del XVIII secolo, che sollevarono il problema della separazione fra stato e Chiesa e della libertà di professione religiosa. Si vennero a creare due modelli. Quello americano che con il cosiddetto Bill of Rights non stabiliva una chiesa ufficiale dello stato federale, ma nemmeno la proibiva. Tuttavia, la separazione fra stato e chiesa divenne una questione di fatto. Il secondo modello, quello europeo, che trova la sua espressione più marcata nel sistema laico francese, imponeva la cosiddetta laicità, con una netta separazione fra le due entità. Esisteva la libertà religiosa, ma s’identificava con la soppressione del ruolo pubblico della religione, che viene limitata alla sfera privata e, dunque, marginalizzata nella società. Tale posizione si fondava su due assoluti: l’autonomia assoluta della coscienza dell’individuo e la supremazia giuridica dello stato. La religione è permessa, ma come dimensione privata senza implicazione alcuna a livello pubblico.

Ci sono anche altri modelli di laicità: quella indiana per esempio o quella turca, dove, sia pure in modi diversi, lo stato ha un ruolo neutrale e, almeno ufficialmente, non predilige nessuna delle espressioni religiose presenti sul suo territorio. Non si può dimenticare, poi, il modello tipico delle rivoluzioni che portarono all’indipendenza degli stati dell’America Latina, che divennero per la maggior parte laicisti, non solo laici, confiscando le proprietà della Chiesa e sciogliendo anche ordini religiosi. I vari leaders rivoluzionari, infatti, professavano un’idea idealista di libertà e temevano che la Chiesa cattolica, identificata con gli Stati colonizzatori potesse limitarla. Doveva, quindi, essere o limitata o eliminata.

3.3 La posizione della Chiesa cattolica: la difesa della vera fede[16]

In questi contesti, la Chiesa cattolica era arrivata ad avere una posizione precisa. Lo stato, per garantire una vera libertà di professione religiosa, avrebbe dovuto appoggiare e difendere una sola fede, quella vera, contro tutte le altre considerate errori, sia pure in gradi diversi. Le autorità dello stato avrebbero dovuto dare appoggio morale e finanziario ed anche militare alla fede riconosciuta come stabilità in quella nazione. Non era garanzia di libertà religiosa appoggiare o difendere i diritti di chi era nell’errore e l’unica verità risiedeva nella Chiesa cattolica. Si trattava dell’applicazione a livello di libertà di professione della logica extra ecclesiam nulla salus. La salvezza era perseguibile solo attraverso il cristianesimo e, dunque, la libertà religiosa era professare quella forma di religiosità, non altre, pena la dannazione.

Inoltre, la libertà religiosa, che implicava la soppressione dell’espressione religiosa pubblica, era considerata una minaccia. In effetti, fu questo che avvenne in Francia nel 1905 dove il governo sciolse gli ordini religiosi e statalizzò le istituzioni cattoliche, o in Messico ed Spagna con le loro guerre civili, che si rivelarono rivoluzioni anticlericali, che uccisero cattolici praticanti, sacerdoti e suore.

4. I tempi recenti

4.1 Dopoguerra e fine del colonialismo

Dalla seconda metà degli anni cinquanta del XX secolo le cose cominciarono a cambiare a causa delle conseguenze due guerre, soprattutto delle ideologie fasciste, naziste e marxiste, e delle conseguenze che derivarono dai loro sistemi, sia pure in modi diversi, ma anche e, forse, soprattutto, a causa della fine del colonialismo.

Nel giro di una quindicina d’anni emersero una quarantina di nuove nazioni indipendenti spesso caratterizzate da due elementi: all’interno di questi Paesi i cattolici e i cristiani erano una minoranza e la maggioranza era costituita da religioni, come induismo o buddhismo o islam, dove non esisteva e non era concepibile una separazione fra religione e vita civile. Il cattolicesimo si venne a trovare coinvolto in nazioni dove era fortemente minoritario a collaborare per il bene comune del Paese.

4.2 La Dichiarazione dei Diritti Umani

Inoltre, nel 1948 le Nazioni Unite proclamarono la famosa Dichiarazione dei Diritti Umani che, all’art. 18, afferma:

Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

 

Questo articolo deve essere letto insieme con l’articolo 1:

 

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

I due articoli, insieme, rappresentano la parte sacrale dell’intera Dichiarazione Universale. I soggetti di riferimento sono, ovviamente, tutte le persone umane, e queste comprendono ‘credenti’, ‘non credenti’, ‘atei’, ‘agnostici’. A questo punto, pensiero, coscienza, religione vengono a formare un triangolo di valori con un grande spessore etico, che qualifica la soggettività giuridica originaria della persona umana la cui retta coscienza (foro interno) è vero tribunale di ultima istanza dei diritti[17]. Lo stesso anno, nel 1948, un altro fatto significativo fu l’Assemblea Ecumenica di Amsterdam, che trattò il tema della libertà religiosa come una delle questioni prioritarie.

4.3 Il Concilio Vaticano II: Dignitatis Humanae

Si capisce come, quindici anni dopo, il Concilio Vaticano II non avrebbe potuto esimersi dal compito di trattare il problema. Lo fece con lunghi e laboriosi dibattiti che videro i vescovi su posizioni molto diverse, ma che alla fine sfociò nel documento intitolato Dignitatis Humanae, pubblicato nel 1965, da molti definito come «l’intervento più emblematico del Concilio»[18].

Per dare un’idea del valore del documento, un anno più tardi, un giovane teologo tedesco che aveva partecipato al Concilio ed ai suoi vari dibattiti, commentando il documento conciliare, affermava con coraggio e chiarezza che questo argomento sarebbe stato considerato, in futuro, uno degli aspetti fondamentali nella già ricca costellazione di eventi conciliari. A S.Pietro, commentava lo stesso teologo, c’era l’impressione di essere arrivati davvero alla fine del Medio Evo, era l’evento conclusivo dell’era costantiniana. Era Joseph Ratzinger, che nel 2005 sarebbe diventato Benedetto XVI[19].

Il documento fu sintetizzato in modo mirabile da Paolo VI il 7 dicembre 1965.

[...] in una delle dichiarazioni destinate a restare come uno dei documenti fondamentali del Concilio, la Chiesa fa eco alle aspirazioni di libertà civile e sociale in questioni religiose, così universalmente avvertita oggi. Nessuno dovrà essere costretto a credere, nessuno potrà più essere impedito nella fede e nella professione del proprio credo, perchè si tratta di un diritto fondamentale della persona umana[20].

In effetti Dignitatis Humanae è un documento abbastanza breve e si limita, come recita il suo sottotitolo a trattare del diritto di singoli e comunità alla libertà sociale e civile in questioni di religione. È, tuttavia, un aspetto fondamentale perchè legato alla libertà dell’essere umano. Si presenta, quindi, sotto una duplice prospettiva. La prima, quella giuridica, deve essere intesa in modo negativo: persone e comunità di credenti devono essere immuni da costrizioni riguardo alle convinzioni religiose e agli atti che le manifestano[21]. Quello teologico era più complesso e si articolava sul binomio liberta-verità, su cui si rischiava, secondo alcuni, di lasciarsi andare a pronunciamenti relativisti.

Il documento si divide in tre parti molto ben stagliate: una introduzione riguardo alla questione della dignità della coscienza umana, un primo capitolo che descrive i principi generali della libertà religiosa ed un capitolo conclusivo che ne offre i fondamenti teologici.

Qui vorrei sottolineare solo alcuni aspetti fondamentali.

Prima di tutto, a conferma che Chiesa e istituzioni civili possono davvero essere volti insieme verso l’uomo e la persona umana in quanto tale, l’articolo 2 del documento è molto vicino, anche nell’espressione verbale, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo.

[...] la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. [...] gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. [...] il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana.(DH 2)

Un secondo aspetto, è la condanna del proselitismo e l’auspicio che ogni persona e gruppo sociale possa davvero professare la propria fede ed educare le future generazioni ad essa.

La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. [...] A tali gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell'ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione.

Parimenti ai gruppi religiosi compete il diritto di non essere impediti con leggi o con atti amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati.

I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto.(DH 4)

 

Fondamentale è la presa di distanze da trascorsi dolorosi, in cui il cristianesimo è stato tutt’altro che testimone veritiero di quanto affermato da DH.

E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno. (DH 12)

5. Il mondo attuale

Il mondo è profondamente cambiato dagli anni del Concilio. È ormai lontana l’epoca della Guerra Fredda, della contrapposizione dei blocchi. La religione che sembrava sparita dallo scenario dell’occidente è riapparsa prepotentemente grazie, per esempio, alla rivoluzione khomeinista in Iran, alla figura di Giovanni Paolo II e al suo ruolo nel crollo del blocco sovietico, allo sviluppo eclatante del pentecostalismo e del fondamentalismo religioso un po’ in tutte le tradizioni.

La geografia politica del mondo sta cambiando. Un esempio ci viene dalla stessa Europa. In questi ultimi anni il continente intero è percorso da importanti correnti migratorie, assolutamente impreviste fino agli anni ’80. E’ un fenomeno che sta incidendo profondamente sulla sua fisionomia, rendendo le sue città sempre più variegate. Camminando per le nostre strade, si nota una varietà di modi di vestire, un crescere di negozi che vendono alimenti asiatici ed africani e, soprattutto, c’è un fiorire di moschee, ma anche di templi, in nazioni che, fino a poco tempo fa, erano ancora quasi esclusivamente di religione cristiana.

L’effetto di questo stato di cose è duplice e, apparentemente, contraddittorio.

L’incontro con persone e gruppi di culture, lingue e religioni diverse favorisce la comprensione e l’arricchimento reciproco. Ci si rende conto che milioni di persone vedono il mondo diversamente da noi, hanno valori comuni, ma anche diversi dai nostri, quotidianamente vivono secondo parametri a cui non eravamo abituati. Tutto questo arricchisce e favorisce l’unità nella molteplicità. D’altro canto, questi incontri fra ‘diversi’, quasi sconosciuti, diventa un potenziale detonatore di violenza. «La molteplicità religiosa racchiude sempre una conflittualità potenziale latente, la cui ampiezza e la cui forma dipendono soprattutto dal modo con cui le religioni vivono le relazioni fra loro[22]». La pace è messa a repentaglio dovunque e, spesso, a causa o, per lo meno, in nome della religione.

Le diverse tradizioni religiose, infatti, si trovano a dover competere su una platea mondiale, dove sono sollecitate ad offrire risposte e soluzioni valide per tutti gli uomini, dimostrando o cercando di dimostrare, che non sono da meno di altre. Si apre un vero e proprio clima di concorrenza nel cosiddetto market delle religioni. Si sono venuti a creare nuovi contesti dove accanto alla religione dominante, ci sono sempre più minoranze, spesso provenienti da altri ambiti geografici e culturali, che cominciano a recriminare per i propri diritti, alterando equilibri precedenti spesso acquisiti nei secoli. Nel quotidiano, poi, ci si imbatte e, quindi, spesso ci si scontra con norme, usanze e comportamenti diversi. Questo suscita problemi non indifferenti alla convivenza immediata.

Per queste ragioni e molte altre, viviamo in un’epoca costellata da tensioni di ogni tipo, che spesso esplodono in conflitti, molto più complessi di quelli terribili che hanno caratterizzato il secolo scorso. La violenza non è solo quella fra le nazioni, ma diventa tragica realtà all’interno di uno stesso Paese con la possibilità di guerre civili non solo in zone tradizionalmente considerate a rischio. La crisi economica sta riducendo alla fame popoli interi, creando sacche di potenziale violenza. Il terrorismo, ormai protagonista della scena internazionale da vari decenni, ha proprio in tale situazione le sue radici più profonde e, nonostante misure di sicurezza sempre più sofisticate, pare colpire dove, quando e come vuole, mietendo vittime innocenti.

Inoltre, i moderni mezzi di comunicazione, spesso, se non sempre, evidenziano il negativo, amplificando i problemi e creando premesse per nuove tensioni e conflitti. Viviamo in un villaggio globale, ma, spesso, siamo immersi in un clima di paura, di tensione e di diffidenza.

5.1 L’impegno a costruire la pace

In questo contesto, che coinvolge non solo i cosiddetti ‘grandi’ della terra, ma ciascuno di noi, risuonano vere le parole di Giovanni Paolo II di fronte all’Assemblea delle Nazioni Unite. Esprimono un invito che è un sogno, ma anche la richiesta di un impegno.

Costruire nel secolo che sta per giungere e per il prossimo millennio una civiltà degna della persona umana, una vera cultura della libertà e della pace. Possiamo e dobbiamo farlo![23]

Ma non è facile. E’ necessario realizzare una vera conversione nel profondo del cuore degli uomini, come afferma Benedetto XVI:

In primo luogo la pace va costruita nei cuori.  Qui, infatti, si sviluppano sentimenti che possono alimentarla o, al contrario, minacciarla, indebolirla, soffocarla. Il cuore dell'uomo, peraltro, è il luogo degli interventi di Dio[24].

Oggi è opinione comune che la pace sia minacciata soprattutto dalla religione, fattore di scontro più che d’incontro. In effetti, la religione ha nel mondo d’oggi un ruolo primario, che in particolare l’Occidente pareva aver messo da parte. Dopo secoli di netta separazione, politica e diplomazia si sono rese conto del ruolo del fattore religioso. Gran parte dell’umanità è credente ed i suoi valori ed aspirazioni affondano le radici proprio nelle rispettive tradizioni e scritture. Si è affermato che se si è interessati alla pace non si può ignorare la religione e, quindi, il diritto di ciascuno a professarla secondo le modalità che gli o le sono consone.

5.2 La libertà religiosa ed il suo ruolo centrale per la pace

Eppure, osserva Tony Blair, in un interessante articolo pubblicato il 27 ottobre 2011 dal quotidiano Avvenire, oggi un terzo della popolazione mondiale vive in Paesi in cui stanno crescendo le restrizioni nei confronti della fede e le ostilità sociali basate su differenze religiose. Questo stato di cose impedisce o crea grosse limitazioni alla pratica della propria fede. Anzi, proprio il credo può diventare sinonimo di disprezzo e settarismo, e non di riconciliazione e giustizia, i valori fondamentali delle fedi del mondo. Il diritto alla libertà di religione sancito nella Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite è spesso abrogato in nome di una presunta sicurezza nazionale, nota Blair[25].

Un rapporto del Pew Research Center, datato 2009 inserisce l’Italia nella categoria dei Paesi con un basso livello di restrizioni governative sulla religione, ma con una moderata ostilità sociale nei confronti delle persone di altre fedi. Come molti Paesi del Sud Europa, la cattolica Italia è sempre più consapevole di essere il confine nord del musulmano Nord Africa[26]. In questo senso si possono capire le tensioni per la costruzione delle moschee in alcuni paesi e città della penisola. Eppure, proprio la possibilità di manifestare la propria fede e di esercitare il proprio culto è una delle vie più sicure verso l’integrazione sociale e culturale.

 

6. La libertà religiosa diritto fondamentale

Blair disegna una prospettiva ad ampio respiro. Afferma, infatti, che «la tensione fra diritti religiosi individuali e collettivi, il bisogno di un’identità aperta che convive con la diversità, per una libertà religiosa posta al cuore dei diritti umani, sono tutti problemi comuni all’intera Europa. Creare una cultura di dialogo, rispetto e comprensione per le altre fedi non è un optional»[27].

In questo panorama complesso si è levata da tempo la voce chiara ed autorevole di Benedetto XVI con costanti richiami a garantire ad ogni essere umano e ad ogni comunità sociale la possibilità di professare la propria fede come garanzia alla pace. Lo conferma il fatto che abbia scelto di centrare su questo nodo, il suo messaggio per la recente Giornata della Pace 2011, celebrata, come ogni anno, il 1 gennaio.

Partendo dalla constatazione dolorosa che in varie parti del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale, il papa ha analizzato il problema della libertà di professare la propria fede da una molteplicità di prospettive. Innanzi tutto, sottolinea come la possibilità per ogni creatura di professare la sua religione sia garanzia per uno sviluppo umano autentico ed integrale. La libertà a credere è un diritto radicato nella stessa dignità della persona umana, proprio perché creata ad immagine di Dio. Se, da una parte, la tradizione giudaico-cristiana ha una sensibilità particolare alla trascendenza della dignità dell’uomo e della donna, dall’altra, tutti ne hanno la coscienza almeno grazie alla ragione, che può riconoscere la capacità dell’uomo di sollevarsi dal proprio stato materiale per elevarsi verso Dio e l’Assoluto come bene universale. La libertà di credere offre all’essere umano la possibilità di aprirsi alla verità e al bene. Senza la libertà di professare la propria fede, quindi, non può esserci una vera vita morale e nemmeno una vera ricerca della verità, entrambi aneliti insopprimibili del cuore dell’uomo.

La libertà religiosa ha, poi, un forte richiamo alla reciprocità. Ogni uomo, come singolo, e con gli altri, come comunità, se ha il diritto alla professione della propria fede, è anche chiamato al rispetto dell’altro e del diverso, non solo in quanto tale, ma anche in quanto fedele di un suo modo di elevarsi a Dio. Sono questi atteggiamenti che permettono la costruzione di un tessuto sociale sano e di una collaborazione fra gruppi e comunità per la realizzazione del vero ‘bene comune’. La persona umana, infatti, a qualsiasi cultura ed etnia appartenga e tradizione religiosa segua, porta una dimensione religiosa ed una sociale, aspetti diversi della stessa unità. E’, dunque, inconcepibile che i credenti, come spesso accade in diverse parti del mondo, «debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi.» Benedetto XVI non teme di affermare con forza che non è concepibile dover «rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti»[28].

A questo proposito vorrei proporre alcuni passi di una intervista che qualche settimana fa ho realizzato, incontrando a Padova un imam e due cristiani, persone impegnate alla realizzazione dell’integrazione nel rispetto delle reciproche diversità. L’imam Kamel Layachi, della Comunità islamica del Veneto mi racconta.

Per due volte, il Tar ha respinto la richiesta di chiusura di una parte del centro islamico, presentata dal sindaco di un comune importante della nostra regione, dando ragione alla nostra comunità. Nonostante questo, la comunità ha continuato a invitare il sindaco alle varie iniziative organizzate in città. Non abbiamo cercato di interrompere il rapporto con la sua giunta o di fomentare tensioni inutili. Occorre andare al di là della diffidenza istituzionale, essere pazienti, costruttivi e responsabili. Solo attraverso un percorso vero di conoscenza reciproco può crescere la fiducia, la stima e la collaborazione[29].

 

A questo risponde una donna, cristiana che crede e lavora in prima persona ai processi d’integrazione.

 

Quando siamo invitati in moschea per la fine del Ramadan, viene in evidenza il valore del digiuno per i musulmani, un modo di vivere autenticamente il loro credo. Come cristiani, avvertiamo una riconoscenza per la testimonianza che i musulmani ci danno. I cristiani che partecipano a questi incontri fanno un’esperienza spirituale molto forte, che rinforza la loro fede. Allo stesso tempo capiscono e valorizzano la realtà dell’altro. Farne l’esperienza insieme, ci fa apprezzare reciprocamente. Spesso sentiamo cristiani che ci dicono, che dopo aver fatto questo cammino, quando vanno al supermercato e vedono un musulmano lo guardano con occhio diverso. Avviene un vero cambiamento di atteggiamento.

 

Quindi la reciprocità non solo è necessaria, ma è possibile e, soprattutto, porta ad un arricchimento.

Il papa invoca la libertà per tutti i cristiani, soprattutto, nei Paesi dove si trovano in minoranza, ma non si ferma qui. La sua analisi è a favore di tutti i figli di Dio. Se, infatti, in alcune parti del mondo è la violenza fisica ad impedire all’uomo di credere come il cuore gli detta, in altre esistono forme di violenza religiosa ben più sottili e, in un certo senso, pericolose. Qui è l’occidente a mostrare un quadro allarmante. Le forme di ostilità contro la religione nei Paesi occidentali sono, infatti, ben più sofisticate: «si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. [...] non sono coerenti con una visione serena ed equilibrata del pluralismo e della laicità delle istituzioni, [...] le nuove generazioni rischiano di non entrare in contatto con il prezioso patrimonio spirituale dei loro Paesi (n.13)Per Benedetto XVI, dunque, la libertà religiosa resta al centro della persona e della comunità. Si fonda e riconduce all’unità della famiglia umana, come aveva affermato il documento conciliare Nostra Aetate. «I vari popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra e hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti.» (NA 1)

 

7. Conclusione: fratellanza universale e libertà religiosa

Questo fatto, espresso così bene da Nostra Aetate ci porta ad una conseguenza sostanziale, se siamo una sola comunità, con la stessa origine in Dio, che tutti, in qualche modo possiamo chiamare padre, allora apparteniamo alla stessa famiglia.

Permettetemi, allora, di concludere con un racconto tibetano.

È quello che ricorda un’antica storia tibetana. Si racconta che un uomo vagava nel deserto da vari giorni. Nulla all’orizzonte, fino a quando, in lontananza, vide una forma. Ebbe subito l’impressione che si trattasse di un animale feroce. Ebbe una terribile paura, ma il deserto non lascia scampo, non offre il minimo rifugio. E, poi, dove scappare? Intanto camminando si avvicinò e l’immagine divenne più chiara. Si accorse, infatti, che non si trattava di una fiera, ma di un essere umano. Una paura diversa lo assalì: magari è un bandito o un brigante che vuole derubare i poveri viandanti che attraversano il deserto. Anche questa volta, concluse che non c’era altra possibilità che proseguire ed intanto avvicinarsi a quell’uomo. Ormai erano vicini e si rese conto che, forse, non era un malvivente, riconobbe che era un uomo come lui. Ma chissà chi era?

Finalmente, si trovarono faccia a faccia, si guardarono in volto.

Lo riconobbe: era suo fratello. Non si vedevano da anni!

Ogni fratello ed ogni sorella in una famiglia sono liberi di rivolgersi al padre (e alla madre) come preferiscono. E questo non dovrebbe comportare gelosie o impedimenti. Lo stesso allora nel nostro mondo, dove la libertà religiosa e la libertà di espressione di culto fanno parte del vero senso antropologico dell’uomo e della società. Benedetto XVI lo ricorda nella sua enciclica Caritas in Veritate: «la libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (CV 55). Siamo tutti in cammino lungo i sentieri di quel pellegrinaggio verso la Fonte della Luce, come Benedetto XVI ha definito il dialogo interreligioso.

 

 

 



[1] Cfr. J.Müller, «Guerra di civiltà fra cristianesimo e islam? La libertà religiosa tra il diritto e la realtà», Civiltà Cattolica, 3638 (I, 2002), 19 gennaio 2002, 119.

[2] Giovanni Paolo II, Discorso ai Leaders Religiosi, Assisi, ottobre 1986 in L. Accattoli, Karol Wojtyla, 189.

[3] Confucio, Lun-yü, I Dialoghi, 15,23.

[4] Mahabharata 13, 148.8

[5] Samyutta Nikaya 5, 353.35-354.2

[6] Dadistan-i-Dinik 94,5

[7] Matteo 7,12; 22, 39 e Luca 6,31

[8] Levitico, 19,18; cfr anche 19,34

[9] Shabbat 31a, cit. in R. Pacifici, Midrashim, Marietti, Genova 1986, p.177-8

[10] Dagli hadith (detti) del Profeta Muhammad, in Detti e fatti del Profeta dell’Islam raccolti da al-Buhari, a cura di V. Vacca, S Noja e M. Vallaro, Utet, Torino 1982, cap. II; e in 40 Hadithe di an-Nawawi, in H. Küng-K.J. Kuschel, Per un'etica mondiale. Dichiarazione del Parlamento delle religioni mondiali, Rizzoli, Milano 1995, pp.78-79

[11] Benedetto XVI, Discorso ai leaders delle Religioni, XXV Anniversario della Preghiera di Assisi, Assisi, 26 ottobre 2011.

[12] P.Hünermann, «Verso una nuova tolleranza» in in S.Scatena e Marco Ronconi (a cura di), Libertà religiosa e diritti dell’uomo, Periodici San Paolo Milano, 2010, 59.

[13] W.Kerber, Wie tolerant ist det Islam?, Muchen, Kindt, 1991, 80 in J.Müller, «Guerra di civiltà fra cristianesimo e islam? La libertà religiosa tra il diritto e la realtà», Civiltà Cattolica, 3638 (I, 2002), 19 gennaio 2002, 126.

[14] F.Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza Roma, 1999 in J.Müller, «Guerra di civiltà fra cristianesimo e islam? La libertà religiosa tra il diritto e la realtà», Civiltà Cattolica, 3638 (I, 2002), 19 gennaio 2002, 121.

[15] A.Riccardi, Il Sont Mort pour leur Foi: La Persécution de Chrétiens au XXe Siècle, Condé sur l’Escaut, Editions Plon/Mame, 2002.

[16] Questa parte dell’intervento si ispira a S.D. Bevans and J.Gros, Evangelisation and Religious Freedom,  Paulist Press, New York, Mahwah, NJ, 151-191.

[18] F.G.Brambilla, «Diventare liberi» in S.Scatena e Marco Ronconi (a cura di), Libertà religiosa e diritti dell’uomo, 8.

[19] cfr. J.Ratzinger, Theological Highlights of Vatican II, New York, Paulist Press, 1966, 95.

[20] Paolo VI, Discorso, Ai componenti delle Missioni Straordinarie intervenuti alle cerimonie di chiusura delle assise Conciliari, 7 dicembre 1965. Originale in francese. Traduzione a cura dell’autore di questo articolo.

[21] F.G.Brambilla, «Diventare liberi», 11.

[22] J.Müller, «Guerra di civiltà fra cristianesimo e islam? La libertà religiosa tra il diritto e la realtà», Civiltà Cattolica, 3638 (I, 2002), 19 gennaio 2002, 128.

[23] Giovanni Paolo II, Messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50mo della fondazione, New York, 5 ottobre 1995.

[24] Benedetto XVI, Messaggio in occasione del XX anniversario dell’Incontro interreligioso di Preghiera - Assisi, Ottobre 2006.

[25] Cfr. T.Blair, Tony Blair: Libertà religiosa, cuore dei diritti, Interventi, Avvenire, 27 ottobre 2011.

[26] Cfr. T.Blair, Tony Blair: Libertà religiosa, cuore dei diritti, Interventi, Avvenire, 27 ottobre 2011.

[27] T.Blair, Tony Blair: Libertà religiosa, cuore dei diritti, Interventi, Avvenire, 27 ottobre 2011.

[28]Libertà religiosa, via per la pace. n.3

[29] R.Catalano, La Lega non è solo razzismo, Intervista all’imam Kamel Layachi. Citta Nuova online, 20-04-2012. (http://www.cittanuova.it/contenuto.php?TipoContenuto=web&;idContenuto=418029)  

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