Può essere scontato dire che il miglior modo per celebrare la ricorrenza di una grande figura come Don Bosco è mettersi in sintonia col suo carisma, e contribuire a farlo rivivere nelle circostanze attuali. Se un qualche valore deve però attribuirsi alla consapevolezza culturale, non in alternativa a un diretto rapporto spirituale ma in supporto a esso, è di far emergere affinità che uniscono contesti in apparenza assai diversi, lasciando intuire analogie nei compiti che si presentano.
Secondo alcuni l’espressione “santi sociali”, con cui viene normalmente indicata una stagione eccezionalmente feconda della spiritualità cristiana, tipica soprattutto di Torino e del Piemonte ottocenteschi, non sarebbe appropriata. L’obiezione è che furono santi e basta, dal momento che la santità sempre riversa i suoi effetti benefici sulla società, soprattutto attraverso opere caritatevoli. Eppure, detto ciò, l’espressione ha un senso pensando che la questione sociale ha profondamente caratterizzato quell’epoca, in cui i modi di vita furono sconvolti dalla più grande trasformazione dopo il Neolitico: parliamo ovviamente della Rivoluzione Industriale.
Tenendo conto della concomitanza con quell’altra rivoluzione socio-politica che ebbe il suo epicentro in Francia, e degli effetti di una terza rivoluzione in ambito culturale, che veniva sostituendo la scienza alla religione quale fondamento della coscienza collettiva, nell’arco di alcune generazioni vaste popolazioni furono sradicate al tempo stesso dalla terra, dalla tradizione e dal tessuto dei rapporti comunitari. Nacquero le masse, nel senso in cui sono state intese nell’Ottocento e nel Novecento: grandi collettività rese omogenee da condizioni di vita e dalla partecipazione a un circuito culturale di tipo nuovo, dato dal diffondersi dell’alfabetizzazione. Collettività caratterizzate da disagio e deprivazione, ma soprattutto disponibili a trovare in essi una propria identità, capace di renderle a loro volta un potente fattore di trasformazione sociale, a seconda della direzione in cui fossero indirizzate. Parliamo dei movimenti operai, e del loro incanalamento nei diversi alvei ideologici: il Socialismo, il Nazionalismo, il Comunismo, il Fascismo.
Come noto la Chiesa vide nella questione sociale un banco di prova decisivo. Le masse avrebbero costituito la forza d’urto capace di dischiudere un mondo radicalmente antireligioso. Col pretesto di combattere l’alienazione economica si sarebbe realizzata una più profonda alienazione, dalle radici spirituali che rendono umano l’uomo.
Si trattava di rivolgersi alle masse con uno slancio che, prima che nella dottrina, doveva manifestarsi in esperienze di dedizione totale. Da questa necessità, intrinseca alla fede cristiana, sorgono vicende esemplari: come quella del Cottolengo, che rinnova nell’incontro con gli ultimi e gli scartati l’incontro con Cristo; come quella di Don Bosco, che fa dell’educazione la forma moderna dell’evangelizzazione.
Oggi la questione sociale sembra ancora attuale nelle aree del mondo emergenti, al di fuori dei confini dell’Occidente, dove l’azione dei missionari rinnova quello che fu fatto nell’Europa dell’Ottocento. Diverso è però il quadro circostante.
Dallo sradicamento di continenti immensi sono sorte masse più numerose di quante l’Europa e il Nordamerica abbiano mai potuto accogliere. Le moderne ideologie dell’Occidente, dopo averle ampiamente colonizzate, sono invece rifluite, lasciando il posto ad altre, generalmente di impronta religiosa, più in linea col profilo culturale di quelle popolazioni. Soprattutto il fondamentalismo islamico, come noto, si sta ponendo come nuovo internazionalismo rivoluzionario, facendosi innanzitutto carico, non a caso, della questione sociale: sviluppando reti di solidarietà capaci di sopperire al bisogno di relazioni comunitarie.
Ma in Occidente la questione sociale sembra un fatto del passato, oppure si presenta in forme del tutto inedite. È ben vero che la crisi economica ripropone forme di povertà in qualche modo paragonabili al passato, e soprattutto l’afflusso dei profughi rende evidente un problema di cui non è stata ancora colta la drammaticità sociale e culturale: il venir meno del lavoro. Ciò in cui però da decenni le masse occidentali paiono essersi cullate è lo stato di coscienza indotto dal più potente oppio dei popoli che sia mai stato spacciato: il consumismo.
Le vecchie ideologie, che offrivano una percezione almeno illusoria di identità collettiva, sono state sostituite da un rapporto sempre più individualistico con la vita, diventata essa stessa oggetto di consumo. Tant’è vero che l’ultima ideologia, che si sta aggirando più che mai come un fantasma per l’Occidente, al punto da negare la sua stessa esistenza (parliamo dell’ideologia del gender), propone la riduzione ai termini di mercato di ciò che vi è di più intimo nell’uomo, indissolubile dal suo essere spirituale: la sessualità e la generazione.
Cosa farebbe oggi Don Bosco?
È possibile tornare a educare, in un contesto in cui il senso profondo dell’educazione è stato minato? Non ce ne sarà, proprio per questo, più che mai bisogno? E non sarà altrettanto decisivo ricostruire la dimensione economica, morale e spirituale del lavoro?