Alcune riflessioni in relazione all’incontro di Interdependence del 2 ottobre a Pianezza a Villa Lascaris.
Si tratta di un incontro particolarmente importante, il cui senso, nella storia di Interdependence e senza nascondere le contraddizioni attraverso cui si è svolta, è espresso attraverso la lettera che ho recentemente scritto a Ermis.
Mi permetto qua di fornire, in termini più semplici, una proposta per l'incontro del 2 ottobre, che sarà alla base di successivi incontri di cui cercheremo al più presto di definire il calendario.
Nel contesto in cui Interdependence è nata c’era la fiducia che il dialogo interreligioso fosse una componente importante per assicurare al mondo la pace, grazie soprattutto a quel senso di giustizia e fraternità di cui le varie tradizioni, sia pure in diverso modo, sono portatrici. Rispetto ad altri gruppi, Interdependence ha promosso nel corso degli anni intorno a ciò un ampio programma culturale, con forti implicazioni etico-politiche, e si è spinta a pensare che ne potesse nascere un vero e proprio cammino spirituale di nuovo tipo, basato sul pluralismo delle radici spirituali umane.
Vedendo le cose alla luce della situazione odierna, si può constatare che quel cammino spirituale è effettivamente nato, sia pure diversamente da come lo si immaginava; ma in compenso nel mondo l’esplosione dei conflitti non ha risparmiato le religioni, che anzi spesso si trovano a farsene interpreti. E allora? Con quale compito Interdependence può oggi identificarsi, oltre a custodire quel cammino, che peraltro ha già i suoi ambiti entro cui svilupparsi?
C’è ancora, nelle condizioni odierne, una dimensione pubblica a cui accedere in cui sia possibile confronto autentico, cioè dove, anziché solo difendere le proprie ragioni, ci sia ascolto verso quelle altrui? È in grado Interdependence di predisporre uno spazio di quel tipo, nel quale universi che si trovano talora in durissimo contrasto possano trovare vie di comunicazione umana? Come fare in modo che quel che oggi è più difficile possa riconoscersi come più necessario?
Può forse essere importante capire che l’irrigidimento che subentra nelle situazioni di conflitto deriva, oltre che dalla durezza del conflitto stesso, dal timore del giudizio negativo a cui si viene ineluttabilmente sottoposti. Non essendoci più una narrazione condivisa, ciascuno ha infatti ragioni per temere che la propria non abbia sufficiente ascolto, e il modo più efficace per rafforzarla appare inevitabilmente negare quella altrui.
Questo avviene tra i principali attori nel contrasto ma anche, nell’uno e nell’altro campo, tra le varie posizioni in competizione tra loro. Ciascuno è indotto a cercare di rafforzare se stesso screditando l’altro, quindi non c’è dialogo che non sia fittizio, perché non ci può essere ascolto reciproco. Ciascuno finisce dunque per esser chiuso in se stesso, per paura che qualsiasi apertura all'altro comporti un proprio indebolimento. Ciascuno, qualora sia invitato a un confronto, cerca di avvalorare una certa immagine di sé, avendo naturalmente comprensibili ragioni per farlo, ed è difficile che si metta davvero in gioco.
Affinché ciò avvenga, occorrerebbe che, almeno in una certa situazione, potesse non sentirsi giudicato. Bisognerebbe che avvertisse il sincero desiderio di conoscere chi è, al di là dell’immagine che si sente in obbligo di dare. Il che naturalmente non è facile, neppure si pensa di doverlo fare e, tanto più duro è il conflitto, tanto meno si trova la capacità di farlo. Bisognerebbe esser capaci infatti di empatia, cogliendo l’altro nei suoi vissuti e nelle sue sofferenze, e questa sola è la condizione per cui l’altro riesca a fare altrettanto.
Ebbene, oso pensare che, seppure entro certi limiti, questo sia ancora possibile. Lungo la sua storia Interdependence è stata luogo di incontro, in cui mondi diversi hanno potuto comunicare al di là di quel che spesso li opponeva, e senza del resto il formalismo e i vizi ideologici che spesso caratterizzavano le sedi del dialogo interreligioso. Il fatto che adesso ci sia un cammino spirituale vero e proprio aggiunge una ragione ancor più forte per tentare ciò che oggi è così difficile: potrebbe trattarsi infatti di un aspetto del carisma di quel cammino.
Potremmo ammettere che ciascuno ha, rispetto alle situazioni sociali e geopolitiche, ma anche quelle della vita quotidiana, una visione che si configura a partire dalla condizione che gli è stata data e da certe scelte operate in quell’ambito, per cui ci sono elementi che accoglie in primo piano e altri che respinge sullo sfondo. È inevitabile che sia così, ed è parte della nostra finitezza; ma riconoscerlo - cioè riconoscere la nostra finitezza - ci lascia liberi rispetto ad altro, alla possibilità di poterlo un giorno accogliere.
Tralasciamo che tutta una retorica dell’accoglienza, applicata a certe situazioni escludendone però altre, ha reso paradossalmente talora più difficile un’accoglienza autentica, fedele al suo senso profondo e universale; ma non è quel senso allora ancor più da ritrovare? Non potrebbe, culturalmente e spiritualmente, essere questo il compito di Interdependence, e tanto più nelle condizioni più difficili? Non è questa la direzione in cui ci siamo recentemente spinti, recuperando la provocazione evangelica dell’amore per il nemico?
È del tutto evidente che i conflitti attuali hanno cause su cui nessun confronto può pensare più di tanto di incidere: è in atto un processo di riorganizzazione dei poteri mondiali, e ogni aspetto, da quello strettamente bellico a quelli economici e politici, ne è coinvolto. C’è però un aspetto che più direttamente ci riguarda, ed è quello più profondamente umano, dei vissuti delle varie comunità coinvolte, delle loro sofferenze e aspirazioni, del senso culturale e spirituale che attribuiscono a quel che sta accadendo: ed è a questo che si dovrebbe prestare ascolto. Non è solo vero che le guerre cessano quando chi è più forte ha raggiunto gli obiettivi che si prefiggeva; a meno che, tra quegli obiettivi, sia compreso il riconoscimento di esigenze insopprimibili, per cui ne va della propria dignità, che talvolta vale più della stessa sopravvivenza.
È a tutto ciò che un processo di pacificazione dovrebbe guardare - che è come dire che l’umano richiede di essere riconosciuto in tutta la sua complessità. Difficile farlo naturalmente in grande, nelle sedi in cui si decidono le sorti mondiali, ma può avvenire in un contesto più ristretto, con membri di comunità locali disposti a testimoniare, in un contesto non giudicante, i vissuti più profondi che quel che sta accadendo suscita.
Ecco, un tale contesto penso che Interdependence debba con tutte le sue forze cercare di allestire. Nell’incontro del 2 ottobre potrebbero essere discusse le modalità, e individuati almeno alcuni soggetti disponibili. Negli incontri successivi, del 2024-25, ci sarebbero significativi momenti di questo ascolto non giudicante, in cui si cerca sinceramente di capire - capire gli altri e attraverso ciò se stessi.
Propongo pertanto, sulla base di quanto detto, che questi incontri abbiano come titolo RITROVARE, PROPRIO ADESSO, LA STRADA DELL' ASCOLTO. Proprio adesso, che gli eventi premono con più drammaticità, e incombe il rischio di situazioni estreme, proprio adesso è urgente quell’incontro umano che può porre le premesse di un futuro. Questo può essere il miglior modo oggi di celebrare la giornata dedicata a Gandhi, gettando un seme buono nei solchi di questi nostri giorni.