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Donne (e uomini) in svendita

femen A quindici anni suscitai il compiacimento degli adulti che mi interrogavano in merito rispondendo che in quel momento storico non potevo non dirmi femminista. Dopo mezzo secolo ricordo e anch’io stupisco di  quella prudente indicazione circostanziale, che per una volta non mi fa pentire delle mie inavvedutezze. In seguito girai solo ai margini del movimento delle donne, avvertendo un certo fastidio per la commistione con una testimonianza pubblica che guastava il sogno di una comunione ritrovata. Inoltre, a fronte di una radicalizzazione politica del movimento, avvertii che il modello maschile tornava a farla da padrone proprio nelle ostentazioni, nella conflittualità, in quell’odio di classe trasferito nel genere. Poi vedevo che la pornografia dilagava, mentre si proclamava universalmente che la donna non è un oggetto. Poi vidi una progressiva scalata alle parità farsi beffe delle peculiarità della donna con l’equiparazione al maschio, la quale per di più le sottraeva la di lui protezione e la caricava di tutti i doveri familiari e sociali. Vidi i maschi femminilizzarsi grottescamente, perdere ruolo e fascino e vissi quella che avvertivo la peggiore condizione della donna di tutti i tempi: cuoca in cucina, signora in salotto, puttana a letto, lavoratrice disciplinata fuori di casa, col carico dei figli e priva del conforto del gineceo. Intanto, appunto, ascendeva il mito della donna in carriera. Mi accorsi che il pensiero femminista si era biforcato: le rivendicative, proterve, sfacciate, insolenti dilagavano per strada e nei media, mentre il pensiero tornava, come sempre, a farsi di nicchia. Ripensavo faticosamente il marxismo, la storia, risalendo ai paradigmi reggitori: dovevo capire per salvare il mio equilibrio. Feci scoperte davvero interessanti che vanificavano buona parte dei presupposti teorici della lotta femminista, almeno le sue pretese universali, e che riconsegnavano nelle mani lorde di sangue del sistema il frutto di tanti sacrifici ed entusiasmi, come per le guerre e le rivoluzioni. Vidi ascendere il riconoscimento di diritti che oscuravano il femminile della donna, diritti di consumatrici frenetiche e pretese di felicità a buon mercato che ripugnavano alla mia fierezza. Il femminismo si era ridotto al sesso, sconvolgendo la dignità del genere. Il sesso era confacente al mercato. Peccato per il secondo sesso restare tale e precludersi la meraviglia di diventare donna. D'altronde gli uomini si rassegnavano anch’essi in massa a discendere nella scala umana, mercificarsi gaiamente, contenti di ricevere man mano dal sistema l’investitura di diritti a tutte le perverse pretese che gli passavano per la testa. Ormai solo più buona a quello. Così la donna, rimasta interna al paradigma scisso dominante, è scavalcata dalle femminilità liquide e diffuse di cui si sono appropriati i maschi. Anzi alcune femministe, sostenute dalle accademie, con farisaica  fedeltà a Marx, hanno reinvestito la tensione verso l’abolizione della differenza di classe nell’abolizione della differenza di genere, portando alle estreme conseguenze la vocazione rivoluzionaria, a costo di abolire di fatto il femminile. E siamo all’apice: il mercato gestisce il sesso non solo proiettato nel desiderio erotico, lo gestisce nella proiezione identitaria che sostiene e fomenta attraverso le sue agenzie politiche, lo gestisce nella sua funzione originaria e ultima, quella riproduttiva. Bisognava che le donne si opponessero agli uomini dando luogo a una scissione della sessualità; poi che ciascuno fosse libero di perseguire il suo erotismo scisso; poi che ciascuno fosse libero di perseguire la sua genitorialità scissa, perché le donne fossero ridotte a uteri prezzolati come non si era mai visto in nessun harem. Una parabola davvero edificante in nome della libertà e della libera impresa. Se qualcuno torce il naso, niente paura, tanto i figli saranno fabbricati presto in provetta e ciò verrà presentato come la nuova definitiva liberazione della donna. Liberazione dall’essere donna. Né madri, né padri, né figli, solo una circolazione di esseri disidentificati, debolmente collegati da rapporti commerciali, disponibili ad ogni manipolazione. A Marx non si può imputare di aver avuto in mente questo.

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