Emanuele Severino
Un anno fa, nella sua Brescia poco prima della pandemia, moriva Emanuele Severino, una delle ultime grandi figure della filosofia occidentale. Come già in Heidegger ma in diverso modo, nel suo pensiero l’intera vicenda dell’occidente viene letta nel segno del nichilismo e del trionfo della tecnica. E la radice di ciò sta in un’originaria follia: la convinzione che esista il divenire, ovvero che le cose, tra cui noi stessi, sorgano dal nulla e al nulla ritornino. Uscirne vorrebbe dire ammettere quel che è in palese contrasto col senso comune: cioè che tutto, e noi stessi in ogni nostro atto, siamo eterni.
Allontanatosi dal cristianesimo e dalla religione in genere, Severino considerava questo pensiero neppure come suo, bensì come l’affiorare in lui di una verità inaudita, sconosciuta a ogni precedente sapienza. Dobbiamo intenderlo così, e sentirci provocati a esplorare un orizzonte radicalmente nuovo? E se non riaffiorasse, in una forma inedita, quel che è nel nucleo più profondo di ogni religione – ciò che nel cristianesimo si chiama fede nella vita eterna e in oriente liberazione?