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Noi siamo con il popolo del Myanmar

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Noi siamo con il popolo del Myanmar

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Noi siamo con il popolo del Myanmar, la cui difficile via verso l’autodeterminazione una volta ancora è stata interrotta da un colpo di stato militare.
Molti ricorderanno, quattordici anni fa, le eroiche manifestazioni per la libertà guidate dai monaci buddhisti. Successivamente un processo di pacificazione e transizione alla democrazia ha avuto gradualmente luogo sotto la guida di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace. La figura di quest’ultima e quell’intero processo sono poi stati negli anni scorsi messi in discussione a causa della persecuzione nei confronti della minoranza Rohingya, di religione islamica. Ebbene, i recenti avvenimenti, senza nulla giustificare, contribuiscono a chiarire le effettive responsabilità in quella circostanza, nonché in generale il quadro entro cui ogni discorso va collocato.
Da molti decenni i militari si fanno garanti di una non facile unità nazionale anche attraverso il richiamo all’identità buddhista. Avendo a un certo punto dovuto accettare di riconoscere il processo democratico, non hanno però mai smesso di controllare le leve del potere, condizionando le decisioni politiche e appoggiando i gruppi fondamentalisti, da cui i leader buddhisti mondiali si sono nettamente dissociati. Oggi, anche in rapporto a un quadro geopolitico in rapido movimento, in cui si disputa la supremazia in Asia, si riprendono il potere interamente. Il futuro dipenderà da molti fattori, tra cui la solidarietà internazionale alla resistenza popolare.