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Laudato si’: una rivoluzione culturale

salgado4 1430241A distanza di poco più di due anni dalla sua nomina a Pontefice, Papa Francesco, con la nuova enciclica Laudato si’, rinnova in modo sempre più forte il messaggio affidato al suo pontificato.

 

Già con la scelta del nome aveva subito dato il senso di una missione volta a rendere l’attuale società  rispettosa della dignità di ogni uomo, oggi diventato oggetto, cosa o ancor più puro strumento di finalità esterne, assoggettato a un potere soprattutto esercitato con lo strumento della finanza.

Le povertà, la disuguaglianza, l’emarginazione, la disoccupazione, il degrado morale, la sofferenza non sono più problemi da affrontare nel rispetto dei diritti universali dell’uomo, sottoscritti da tutte le nazioni alla fine della seconda guerra mondiale in occasione della costituzione dell’ONU, ma solo “danni collaterali” ad un disegno di realizzazione egemonica di pochi rispetto ai tanti.  

Siamo diventati una società totalmente asimmetrica a quella disegnata e sperata in quegli anni di rinascita del mondo al senso e al valore della vita umana. E l’asimmetria, che si evidenzia nel collasso sociale, è l’espressione di un modello socioculturale fallito, così come la crisi che stiamo affrontando è di natura antropologica e culturale. In questo senso l’enciclica parla di “rivoluzione culturale”: come necessità di cambiare un paradigma che non è più in grado di rispondere alle domande e ai problemi che dobbiamo affrontare.

 

Il paradigma “tecnico-razionale” del nostro tempo, che ha trovato nella finanza la sua estrema espressione, è infatti ormai fallito e va cambiato. La necessità di rivederlo e ripensarlo è posta con drammaticità, come ammonisce Papa Francesco, dall’evidenza dei fatti: di fronte ai fatti dell’economia, ma specie del suo surrogato, la finanza, che condizionano il divenire delle  nostre società, s’impone l’assunzione di “paradigmi” culturali differenti e coerenti con la mutata realtà. L’epistemologo Kuhn definiva questo cambiamento di abito mentale come “un processo rivoluzionario” – come dice il Papa –, un passaggio indispensabile per arrivare a una più raffinata e dettagliata interpretazione dei fatti e del loro divenire, in modo più costruttivo rispetto all’evoluzione delle società umane (F. Pezzani, È tutta un’altra storia. Ritornare all’uomo ed all’economia reale, UBE, Milano 2013).

L’enciclica, pertanto, va al di là di una posizione solo religiosa: verso una totalità di pensiero capace di rispondere ai problemi in una lettura anche sociale, economica, politica e culturale.

 

Il messaggio di Papa Francesco, al riguardo, si è fatto sempre più alto, chiaro, forte e diretto, senza inutili fraintendimenti.

Nell’enciclica denuncia lo scontro tra economia e finanza: “La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”.

 

Quest’enciclica, volta a preparare il Giubileo della Misericordia a fine anno, si pone come un richiamo alle coscienze di tutti; come una denuncia delle distorsioni, anche criminali, di un modello socioculturale che ha fatto dell’interesse personale ad ogni costo lo scopo supremo della vita, anche al prezzo di normalizzare comportamenti illeciti. In questo modo ogni singola persona, secondo il suo libero arbitrio, deve decidere dove stare: o per una società umana rispettosa delle singole individualità in un contesto di solidarietà, oppure in un sistema vessatorio di interessi personali a scapito degli altri.

 

La linea è chiara, e le reazioni di opposizione a livello internazionale legate al mondo anglosassone, quello della finanza, non hanno tardato a condannarla, minimizzando il senso della disuguaglianza, o anche innalzandola, come ha fatto il sindaco di Londra, a elemento fondante dello sviluppo economico. Che la città di Londra sia considerata dagli stessi inglesi come la città con la peggiore qualità di vita del paese è un fatto che non lo sfiora per niente. Le reazioni nel nostro paese sono state del resto orientate ad una visione superficiale  e banalizzante  - il Papa verde … - oppure opportunistiche e strumentali – la disuguaglianza non è un problema sociale,  come riportava in un editoriale il Corriere della Sera. La pensavano allo stesso modo Luigi XVI, la Corona inglese, i Romanov, l’ultimo imperatore… e adesso anche gli Usa, terzo paese al mondo per disuguaglianza.

 

Il richiamo al rispetto della “casa comune” rinvia alla necessità di tornare a vedere la natura come Madre: il termine “naturale” è infatti originariamente usato per indicare la normalità dei comportamenti in linea con l’armonia della natura.

La natura è diventata invece una miniera da cui trarre tutto il possibile per la soddisfazione di desideri illimitati, la cui realizzazione si scontra con la limitatezza delle risorse e con la guerra reciproca per il personale uso, anche a scapito del loro perdurare nel tempo.

L’assalto indiscriminato alle risorse della terra dipende da un modello socioculturale che ha messo come fine massimo la realizzazione dell’interesse personale e non il bene comune; l’economia, che una volta aveva un fine esterno ad essa, la società giusta, ora ha un fine interno ad essa: la massimizzazione dell’economia come tale. Abbiamo scambiato i fini con i mezzi, e l’uomo è diventato oggetto, sacrificabile esattamente come un bene di consumo.

La massimizzazione della ricchezza eretta come verità sacrale, dice giustamente il Papa, ha giustificato i mezzi che consentono la più rapida realizzazione del fine: così la finanza ha assunto il ruolo per produrre il più imponente travaso e concentrazione di ricchezza che la storia ricordi. Il potere della finanza ha assunto la dimensione di un senato virtuale sovranazionale, non democraticamente eletto, in grado di forzare i processi politici dei singoli stati per finalità del tutto sue e non condivisibili con altri.

 

La finanziarizzazione dell’economia reale è stata la conseguenza di un modello culturale privo di fondamenti scientifici ma legittimato dall’assegnazione di Nobel in economia a persone che in realtà si occupano di finanza.

L’economia come tale non viene più studiata come preminente, ma subordinata alla finanza. Eppure le colonne della disciplina contabile si basano sull’evidenza che l’equilibrio finanziario dipende da quello economico, e non viceversa. Eppure nel 1509 un grande italiano, Fra’ Luca Pacioli, nella De Divina Proportione, illustrata in parte da Leonardo da Vinci, aveva gettato le basi della ragioneria e della partita doppia, in cui i valori di scambio venivano e vengono rilevati al fine di registrare le operazioni per determinare il reddito, separatamente da quelle correlate a movimenti finanziari, che sono subordinati ai primi.

Le fondamenta della ragioneria sono state dunque ignorate  per portare la finanza sopra l’economia reale.

Ma l’inganno è evidente, perché l’infinita massa monetaria è contradditoria con la dimensione del finito in cui vive la dimensione umana e naturale. La moneta opera in un infinito negativo che uccide il bene comune, come affermava nella Summa Tommaso d’Aquino, quando parlava dell’usura. La realizzazione di moneta per creare continuamente altra moneta “distrugge ogni ordine social , ogni decenza e bellezza” (Ezra Pound) e diventa  una contraddizione logica nei fatti.

Ma non ci si ferma neppure di fronte all’evidenza: il “cattivo infinito” della crescita illimitata della moneta avviene ai danni della collettività e distrugge il bene comune.

Il neoliberismo impone la deregulation, e nella finanza questo genera una concentrazione di ricchezza non governabile dai singoli stati, che ne subiscono il dominio. Il processo viene accelerato dalla globalizzazione, che consente l’invasione di masse monetarie senza limiti; ma come può coesistere un infinito monetario con una finitezza dei beni reali che dovrebbero esserne la contropartita ?

 

La finanza, altamente concentrata nel potere di pochi, determina così le logiche sociali. Ne deriva un dispotismo che, avendo generato la spinta al debito, oggi lo usa come “garrota” per perseguire i suoi interessi. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale è diventato totalmente asimmetrico alle finalità di riequilibrio per le quali nel 1944 era stato costituito a Bretton Wood, per un bene comune oggi dimenticato. A chi risponde delle sue finalità il FMI?

 

La democrazia è altra cosa, dice Papa Francesco. E una rivoluzione culturale, che riporti l’uomo al ruolo di soggetto e non di cosa, è nei fatti, se non ci vogliamo davvero trovare di fronte al caos.

La  finanza va riportata al suo ruolo di esercizio del credito, funzionale all’economia reale.

Il sistema monetario ha sempre avuto un ruolo importante nei sistemi di potere; ma fino a oggi tale potere era controbilanciato da altri, che oggi invece ne sono sottomessi. In questo modo lo squilibrio ha effetti negativi, in una politica di sviluppo armonica sia sociale che economica.

 

“Essere in possesso di un potere che non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto della persona significa distruzione dell’umano in senso assoluto. (…) Sempre più minacciosa diventa la perversione del potere e con essa la perversione della natura umana. Poiché non c’è azione che si esaurisca nel suo oggetto … ogni azione afferra anche colui che la compie. (…) L’uomo diventa continuamente ciò che egli fa. (…) Perciò, se l’uso del potere continua a svilupparsi lungo le linee indicate, non si può non prevedere che cosa avverrà in chi usa del potere: distruzioni morali e rovine spirituali di natura sconosciuta”.

Così scriveva Romano Guardini nel 1954 in La fine dell’epoca moderna. Il potere. È stato tutto esattamente così!

 

In questa chiave di lettura va interpretata l’enciclica: come un invito alla misericordia, cioè alla solidarietà, perché “se le società dell’uomo non hanno superato lo stadio in cui il soddisfare un certo numero di loro partecipi – la minoranza -  ha come presupposto l’oppressione di altri suoi partecipi – la maggioranza –, è comprensibile che gli oppressi sviluppino un’intensa ostilità contro la civiltà, da essi consentita con il loro lavoro ma da cui ricevono una parte insufficiente (...)  È inutile aggiungere che una civiltà che lascia insoddisfatti un così gran numero di suoi partecipanti e li spinge alla rivolta non ha prospettive – né merita – di durare a lungo” (Sigmund Freud, L’avvenire di un’illusione, 1927).

 

 

 

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