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Lottare per l’umano. La filosofia della famiglia di Giuseppe Riconda.

DavidIl Papa esorta gli intellettuali, specie cattolici, a far sentire la loro voce sulle questioni che stanno sconvolgendo l’immagine dell’uomo e della natura, che riguardano la famiglia come istituzione umana e la stessa famiglia umana.

Ma oggi bisogna anche capirsi preliminarmente sul termine intellettuale: colui che è dotato di competenze linguistiche e abilità di manipolazione dei concetti, o colui che è spinto dall’amore per la verità? Colui che ambisce alla posizione e al successo, o colui che spende la sua vita nella prospettiva di quella conoscenza che lo trasforma? Nulla di nuovo sotto il sole: la nostra civiltà alfabetizzata riconosce i suoi inizi già nella diatriba tra il sapere sofistico e mondano (i mutevoli saperi) da una parte e l’immutabile eppur inesauribile sapienza dall’altra.

I primi tengono il campo giornalistico, editoriale e mediatico; sono gli eredi e i frutti di quel passaggio sciaguratamente augurato da Marx (ma avvenuto, di fatto, il secolo prima) dalla teoria alla prassi, cioè dalla filosofia all’ideologia. Gli altri resistono in riserve silenziate.

 

Il risultato, dopo alcuni secoli di deriva, è un pensiero diffusamente asservito alle esigenze dei poteri di volta in volta dominanti (la prassi) che, nel più volgare intendimento della democrazia, dà fiato al singolo attraverso l’impulso alla rivendicazione, gli trae forza dalla polemica, soddisfazione nell’affermazione del proprio particolare, certezza dal presunto consenso generale. Il tiranno bandisce con decreto la verità dal suo regno, straparla e manovra il consenso. È una condizione oggi alla portata di molti.

Allora è chiaro che il recente invito del Papa è rivolto agli altri intellettuali, quelli che della filosofia non hanno fatto mercato, ma che la custodiscono, senza vergogna di amare quella verità che ci libera, sebbene da alcuni sia stata dichiarata e per molti sia ormai sinonimo di violenza e autoritarismo.

 

Uno fra gli interpellati, Giuseppe Riconda, professore davvero emerito dell’Università di Torino, avevalibro Riconda già risposto, con un prezioso testo di un’ottantina di pagine, dal titolo Filosofia della famiglia[1].

Il libro è articolato in tre sezioni: la crisi della famiglia nella modernità; la famiglia in prospettiva personalistica;  la famiglia figlia della libertà.

 

Nella prima si dà un agile quadro delle visioni della famiglia che hanno attraversato la nostra filosofia da Platone ai Francofortesi, poi dell’idea di ‘fine della famiglia’ in voga negli anni settanta, per sostare sulle ragioni del suo radicale indebolimento in fase postmoderna, rintracciabili fondamentalmente nella crisi etico-religiosa che accompagna il processo di secolarizzazione. Senza trascurare quanto tale indebolimento generi nelle persone una progressiva incapacità critica sull’esistente, poiché viene a mancare, con la famiglia stessa, sia un’esperienza fondativa di rapporti solidali non strumentali, sia un punto di riferimento indipendente dalla pressione onnivora dei poteri statali e tecnologici.

Ma proprio  l’invadenza del totalitarismo tecnocratico suscita una prova a posteriori della tesi che il significato della famiglia vada indagato innanzitutto nella dimensione etico-religiosa dell’uomo: là dove si avverte che  “v’è nell’uomo qualcosa di cui non si può disporre …  principio presente in ogni religione … punto d’incontro fra religioni diverse … che proprio nella resistenza alla deriva tecnocratica potrebbero trovare la loro unità” [2].

 

La seconda sezione affronta la questione nella prospettiva personalistica dei grandi maestri, Marcel, Berdjaev, Pareyson, che l’Autore abbraccia e dichiara all’inizio del lavoro. Una prospettiva che ci è tanto più preziosa nei tempi presenti, caratterizzati dall’oblio sistematico della dignità e del significato della persona umana. Si tratta della visione che “definisce la persona per la sua individualità irripetibile e profondità inesauribile”, in chiave propriamente ontologica, “come rapporto con l’essere o la verità”[3].

Sarà interessante per molti leggere tali pagine e trovare uno svincolo alla cappa scientista e sociologista con cui oggi ciascuno è per così dire forzato a interpretare se stesso, a ignorare quel soffio di verità unica e irripetibile che lo anima, oppure a esprimerla nei termini dell’hybris, dell’egoismo, della rabbia disperata.

Un’uscita dal nichilismo e dal cinismo può solo trovarsi nella conversione dello sguardo a ciò che si era scartato, ritrovando la dimensione del dono innanzitutto all’origine della nostra personale esperienza. L’Autore parla di una scelta che in ciascuno si compie nell’interpretazione della vita come dono, ovvero come dato; altrettanto “spetta alla persona scegliersi come quella prospettiva sulla verità che essa è … o vivere nella banalità della dispersione di sé” [4].

 

Nella visione corrente, parallelamente allo scadimento delle persone a semplici individui ridotti a intercambiabili strumenti di utile e piacere, si va perdendo il cuore della verità e dell’essere che nella persona umana in quanto tale  è custodito nei termini di apertura.  “La persona, in quanto è apertura alla verità, all’essere, è apertura all’altro, alle altre persone e al cosmo. C’è un’originaria socialità e cosmicità nella persona … gli altri e il cosmo … sono dati solo in quella prospettiva vivente che è la persona”[5].

In tale chiave la famiglia, in cui interferiscono significati e rapporti complessi, tali da sfuggire a ogni esauriente analisi, nel suo significato più profondo è colta dall’Autore come “istituzione di una comunità d’amore”, da cui “tutti gli altri significati sono avvalorati e prendono luce”[6]. Le tendenze attuali vanno in ben altra direzione, anche perché si è avuto un “riassorbimento della spiritualità nell’affettività”[7], per cui occorre “mettere in luce il significato della famiglia tradizionale”[8] e incoraggiarne il modello, perché “chi lotta per esso” lotta “per l’umano nell’uomo”[9]. In questa prospettiva è necessario chiarire che “il matrimonio per tutti … non è un’estensione del matrimonio, ma una sua ridefinizione”[10], tale che “chi mira a ridefinire così il matrimonio e propone la sua elevazione alla dignità di principio legale si inscrive non contro un semplice artefatto ma contro un bene umano concreto e l’interiorizzazione della nuova concezione impedisce di vivere questo bene”[11].

 

Qui si aprono pagine intensissime sulla coniugalità e la parentalità, che spazzano d’un sol colpo le argomentazioni inconsistenti di coloro che si son fatti forti della “cancellazione del mistero dell’amore attraverso una banalizzazione del sesso, la sconnessione del sesso dal senso profondo della vita”[12]. Pagine che procedono con pacata e stringente argomentazione a mostrare il carattere disumanizzante  “della separazione prima del sesso non solo dalla generazione ma dall’amore, e poi della generazione dall’amore, secondo le possibilità aperte dalla biotecnica”[13]. È una mentalità che va diffondendosi, ma ancor più una pratica che spezza i legami generazionali nel fanciullo frutto della fecondazione eterologa, il senso di identità, di continuità e di appartenenza che costituisce, non solo “uno sconvolgimento delle relazioni familiari di cui è difficile prevedere le conseguenze”[14], non solo un abuso rispetto al diritto del nuovo nato al riconoscimento delle sue radici personali, ma un vero pericolo per la persona nella sua umanità.

 

La terza sezione dischiude il significato più intimo e spirituale della famiglia, dove è messo in ombra l’insieme degli aspetti fenomenici e ci s’immerge nella chiamata che essa rappresenta, nel compito che con essa è affidato all’uomo. Compito peraltro arduo, oltreché gioioso, che richiede senz’altro l’esercizio costante delle virtù.

Posto che essa “richiede serietà e sforzo, e non ha possibilità di affermarsi se non attraverso il recupero di una dimensione etico-religiosa profonda”[15], l’Autore riporta il commento di Marie Balmary alla storia di Abramo, in cui Dio, semplicemente, ricorda ad Abramo che Isacco non è in suo possesso. Il che significa che il compito di padre “si esercita solo quando si sappia far coincidere l’amore per il figlio con l’amore per Dio, … sforzandosi di indovinare l’idea che Dio ne ha”[16]. Ciò che può essere detto e fatto anche in modo laico: “nessun genitore deve pensare di poter godere del proprio figlio, trattenendolo come cosa sua, invece di liberarlo per sé e per gli altri”[17].

 

Tutti i rapporti umani sono guidati da una chiamata, ma anche dalla possibilità costante del tradimento; così anche nella famiglia alberga l’ambiguità di quella libertà che le è propria: volgersi per il bene, o per il male. Il che dà ragione di tutte le sue difficoltà e deformazioni; tuttavia va costatato che il tradimento è la chiamata che oggi il mondo rivolge alla famiglia, avendo rinunciato alla Trascendenza e avendo assunto a unico orizzonte la finitezza e la mortalità. Si tratta di “filosofie di un’umanità stanca, di un’umanità vecchia, che, abbandonata la speranza rivoluzionaria di una realizzazione del Paradiso in terra, sembra ora voler rinunciare all’idea stessa di Paradiso, riassorbendo l’uomo nella sua quotidianità, nella sua mondanità”[18].  In questa prospettiva è chiaro come l’accettazione acritica dell’esistente, frutto delle filosofie postmoderne, sia sostegno alle spinte prometeiche dei poteri tecnologici.

 

Una famiglia socialmente fragile, oggi, eppure forte ontologicamente, perché essa è non solo, potremmo sintetizzare con Lasch, rifugio in un mondo senza cuore[19], ma soprattutto luogo delle radici etiche della comunità umana, non astrattamente invocate, ma concretamente vissute. Famiglia che ingenera “fiducia nella vita e nell’altro”[20] ed è spontaneamente baluardo e superamento del male, che è egoismo, finitezza, cinismo. Essa è apertura all’altro e ad altro, schiudimento all’esperienza della trascendenza: forse si può dire che, in frammento, è presenza e anticipazione della pienezza dell’eschaton[21].

Sotto i colpi tremendi che il nostro tempo infligge, nel quadro apocalittico dello spiegamento della distruttività umana, Riconda invita a una lettura della famiglia non in semplice chiave di risorsa, ma di “avventura e scommessa[22]. L’invito di Pascal “ritorna” nella “filosofia contemporanea” e irrompe contro “ogni quieto conformismo per misurarsi contro il nichilismo dilagante”[23].

 

 

 

 

 

 



[1] Giuseppe Riconda, Filosofia della famiglia, Editrice La Scuola, Brescia 2014.

[2] Op. cit.,  p. 28, nota.

[3] Ibidem, p. 31

[4] Ibidem, p. 32

[5] Ibidem, p. 33

[6] Ibidem, p. 37

[7] Ibidem, p. 39

[8] Ibidem, p.40

[9] Ibidem, p.41

[10] Ibidem, p. 42

[11] Ibidem, p. 43

[12] Ibidem, p. 51

[13] Ibidem, p. 55

[14] Ibidem, p. 60

[15] Ibidem, p. 64

[16] Ibidem, p. 67

[17] Ibidem, p. 68

[18] Ibidem, pp. 70, 71

[19] Christopher Lasch, Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d’assedio, Bompiani, Milano, 1982

[20] Giuseppe Riconda, op. cit., pp. 73, 74

[21] Ibidem, pp. 75, 76

[22] Ibidem, p. 76

[23] Ibidem, p. 77

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