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Spartiacque irreversibile. Papa Francesco e l’economia.

Il messaggio di Papa Francesco rappresenta il segno dei tempi e uno spartiacque irreversibile tra un modello socioculturale che ha caratterizzato per molto, troppo, tempo la nostra storia, ed è diventato incapace di rispondere alle domande sul senso della vita dell’uomo, e un nuovo modello orientato al recupero di quella dimensione spirituale dimenticata ma non persa, senza la quale la vita dell’uomo non può reggersi.

Il tema critico è legato al ruolo che le scienze economiche e la finanza, ultima figlia prediletta, hanno avuto nell’indirizzare le società dell’uomo: in altri termini ci si domanda se siano esse la vera causa della crisi o se invece questa abbia radici più lontane, da ricercarsi nella storia del pensiero.

 La cultura prevalente - studiosi, media, opinion maker - oggi continua a considerare l’attuale crisi come economica, derivante dal non corretto funzionamento della regolazione meccanicistica dei mercati; di conseguenza  si pensa che la soluzione debba essere affidata a tecniche e regole esterne alla società, che in tale modello è diventata una variabile dipendente. L’evidenza  dell’errore sta nei  fatti  ed è lampante: più gli economisti si occupano dell’economia, più questa peggiora; ma gli interessi da difendere sono così importanti da giustificare ancora la legittimazione accademica di una verità che ha portato allo sbando il mondo, generando una disuguaglianza senza pari nella storia ed una società disgregata nel suo sistema di relazioni.

Questo disagio economico e sociale dipende da un’errata regolazione dei mercati o da un modello socioculturale arrivato al collasso? La crisi è economica o antropologica? In questo secondo caso la soluzione non dipende da regole meccanicistiche esterne alla società, ma dal riorientamento del modello di vita e di valori che il nostro tempo sembra abbia perso. I percorsi sono completamente diversi.

È vero quello indicato da Papa Francesco: dobbiamo ripartire dalla ricostruzione della società mettendo al centro del nostro interesse l’uomo, che deve ritornare ad essere fine e non mezzo dell’economia. La cultura dei tempi moderni ha scambiato i fini con i mezzi. È questo l’avvertimento morale, spirituale e storico della Evangelii Gaudium, che evidenzia anche come le radici  dell’economia siano sbagliate.

 “Il sistema ha le radici nel campo della speculazione ma innalza tronco e rami nell’aria della scienza esatta” (H.U.von Balthasar).

La visione razionale del mondo offerta dalle scienze esatte  diventa dominante nel tempo e porta a individuare come principio di verità esclusivo il mondo sensoriale – ciò che si vede , si tocca e si misura. Le scienze positive che spiegano questa verità diventano esse stesse “verità incontrovertibile” e passano da sapere strumentale a sapere morale e finalistico. In questo modo il mondo dello spirito e della dimensione sovrasensibile dell’uomo, non essendo misurabile, perde chiarezza nel  suo perimetro definitorio e termini come etica, amore, solidarietà ed equità rischiano di non essere più capiti .

Il salto culturale si compie con l’attribuzione all’economia, che nasce e rimane una scienza sociale e morale, dello statuto di scienza esatta. L’assegnazione del Nobel nel 1969 all’economia, non prevista da Alfred Nobel, avrebbe portato gli studiosi, come ammoniva Frederich von Hayek nel 1974, a studiarla con l’abito mentale di chi studia le scienze positive, quindi solo su ciò che è misurabile: un fatale errore pagato agli interessi dominanti. L’economia acquisisce anch’essa lo statuto di scienza esatta, da  studiarsi in modo razionale, e quindi diventa conseguente affermare che, più migliora l’economia, più migliora la società; cioè non si guadagna per vivere ma si vive per guadagnare, scambiando così i fini con i mezzi.

I modelli che massimizzano l’economia sono il mercato e il liberismo, assunti come fine e deificati: una società giusta ne sarà la naturale conseguenza. I fini determinano sempre i mezzi, e così la deregulation e la finanziarizzazione dell’economia reale vengono portati agli estremi limiti: ma in questo modo si afferma quella parte dell’ancestrale natura dell’uomo che vuole il più forte domini sempre e non si fermi mai, perché la sua avidità lo renderebbe inquieto anche in Paradiso.

La natura dell’uomo, sempre oscillante tra Caino e Abele, si afferma sempre, e la sua aggressività in economia, se non limitata, influenza i processi di creazione e distribuzione della ricchezza, e così l’agognata democrazia si trasforma in oligarchia. Il processo, spinto al limite, porta al depauperamento delle società, ai conflitti che ne conseguono per ridefinire la dignità e la giustizia che dovrebbero essere alla base delle società umane, ma che oggi sembrano perse. È una economia che uccide i più deboli, da cui invece bisogna ripartire perché solo così si ricostruisce un sistema di valori rispettoso della persona e  si ritorna  a dividere il pane.

Conseguenza del modello imperante e autoreferenziale è una forma  di individualismo conflittuale e cinico, che ricerca la massimizzazione del risultato personale nel brevissimo tempo, a costo di giustificare comportamenti illeciti, e ha creato una gerarchia di bisogni e di valori funzionali alla sua continua autorigenerazione. La finanza , infine , concentrata in un ristretto numero di istituzioni, si afferma come arma di egemonia e diventa una sorta di senato virtuale non solo dei mercati ma anche delle scelte globali. “Essere in possesso di un potere non definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto della persona significa distruzione dell’umano in senso assoluto (R. Guardini, La fine dell’epoca moderna).

Si è perso, quindi , il senso antico di societas, che vuol dire “alleanza”, ed il pathos dell’amore cristiano capace di tenere uniti gli uomini è stato sostituito dall’odio. La forza si è trasformata in  diritto ed e riapparso il bellum omnium contra omnes. La storia è ancora una volta arrivata al capolinea e ci presenta il conto: una buona società è sempre fondamento dell’economia e non viceversa.

Ripartire dalla solidarietà, dalla centralità dell’uomo, dalla necessità di riscoprire la sua dote più profonda che è la sua umanità, perché l’uomo non può essere felice da solo, è il grande progetto che dobbiamo provare a ricostruire, ci dice la Evangelii Gaudium .  “Speriamo ci sia accordata la grazia di comprendere e scegliere la strada giusta prima che sia troppo tardi, la via che non porta alla morte ma all’ulteriore compimento, da parte dell’uomo, della sua missione creativa e unica su questo pianeta ! Benedictus qui venit in nomine Domini …” (P. Sorokin , La crisi del nostro tempo, 1941 )

Pubblicato sull’Osservatore Romano del 21/12/2013

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