testatina

distanziat

Oltre tutti i muri, una economia di comunione.

chiara lubichNel 1990, a poca distanza dal crollo del muro di Berlino, Chiara si recò negli Stati Uniti a visitare la sua comunità di New York. E in quello che era, soprattutto in quel tempo, il centro del capitalismo e della civiltà del consumo, Chiara sentì forte la spinta interiore di pregare e offrire addirittura la propria vita perché, dopo i muri del collettivismo, crollassero anche i muri del consumismo e del capitalismo. Era crollato il muro di un certo umanesimo della non-libertà, ma perché potesse iniziare l’era della fraternità (tra persone uguali e libere) occorreva anche il crollo del muro del consumismo.

 

Il consumismo – occorre ricordarlo - è una “religione” che va molto più in profondità del comunismo o del fascismo, perché ti entra dentro, ti svuota, ti toglie addirittura il bisogno di una vita interiore, la domanda sul senso della vita, e offre anche una certa promessa di eternità. Se un certo prodotto si consuma e passa presto, potrò sempre comprarne un altro identico; la mia auto attuale presto diventerà vecchia, ma potrò acquistarne un’altra identica; e con la chirurgia estetica potrò allungare la giovinezza di molti anni, e così via.

In un mondo di consumisti non c’è posto per una economia di comunione, perché non si avverte neanche il bisogno di una economia diversa, il bisogno di giustizia e di fraternità.

Quindi, se non crolla il muro del consumismo, non ci può essere nessuna economia di comunione. Ecco perché la “cultura del dare” è essenziale nel nostro progetto e perché le scuole più importanti che possiamo fare sono quelle rivolte ai bambini, è soprattutto da bambini che ci si forma la cultura.

 

            La crisi che viviamo oggi mostra che i muri del consumismo devono ancora cadere. La crisi non è solo colpa dei finanzieri, degli economisti, di chi ha sbagliato i calcoli e gli algoritmi nella gestione dei prodotti finanziari: è anche il frutto avvelenato di uno stile di vita basato sul consumo eccessivo che non è sostenibile (le attuali crisi degli stati mostrano soltanto che la insostenibilità del debito si sta spostando dal settore privato a quello pubblico, ma resta il problema di un Occidente opulento che si è indebitato troppo rispetto alle proprie capacità di reddito).

Il Movimento per una Economia di Comunione continua a ripetere prima, durante e dopo ogni crisi, che vogliamo che crollino anche i muri del consumismo, e lo dice dando vita a nuove imprese, a nuovi imprenditori, e soprattutto creando Poli produttivi, istituzioni di comunione che restano negli anni come un segno di speranza nel futuro. Se non si ha speranza nel futuro non si costruisce un Polo, ma forse si fa un convegno dove tutto, o quasi, finisce con l’applauso conclusivo.

 

Nei momenti di crisi nascono persone che sanno vedere “cose diverse” perché animate dalla gratuità. La gratuità, questa grande parola dell’umano, ci dice che le cose più importanti della vita sono questioni di occhi, di sguardi.

Quando c’è la gratuità si riesce a vedere “oltre”, si inizia già un viaggio al termine della notte, scorgendo nella crisi una opportunità; come Sant’Agostino che mentre crollava l’Impero Romano vedeva soprattutto la nascita di un mondo nuovo, quello cristiano.

È infatti soprattutto durante le crisi collettive che nascono persone con carismi, con il dono di occhi diversi, che sono capaci di mettere in atto le grandi innovazioni, che si mettono a camminare con speranza verso il futuro, proprio nei momenti in cui nessuno si muove perché bloccato dalla paura e dall’incertezza.

In questi momenti i Carismi sono “la speranza” perché vedono oltre e fanno abbazie, imprese, istituzioni, poli industriali… E lo fanno come segno, spesso precorrendo i tempi. E quando la vita civile funziona, le istituzioni e la politica rendono universali le innovazioni dei carismatici, dando vita ad una rincorsa fra innovatori e imitatori.

 

Noi siamo convinti che magari tra dieci, vent’anni sarà normale pensare che le imprese mettano i loro profitti in comunione, e questo capitalismo evolverà in qualcos’altro, anche perché oggi l’EdC  profeticamente annuncia e vive una economia di comunione. La comunione, anche in economia, è un segno dei tempi, è già presente nelle attese dell’oggi.

Dopo due secoli di capitalismo incentrato sulla libertà individuale, oggi vediamo che la libertà da sola non basta: la libertà, senza la fraternità, non garantisce nemmeno l’uguaglianza, che era la speranza dei primi economisti moderni.

Oggi il mercato sta aumentando le disuguaglianze. Oggi affermare l’importanza della fraternità in economia è anche un modo concreto per amare e rendere concreta l’uguaglianza: se non c’è la fraternità non c’è neanche l’uguaglianza.

Quando, soprattutto in tempi di crisi, si dà vita ad una impresa EdC, si fa un atto di fiducia nella vita; si sta dicendo che è bello alzarsi al mattino per vivere, per andare a lavorare, che la terra avrà un futuro; come chi oggi pianta un seme di una quercia, sa che saranno i suoi figli a goderne, e quindi dice che crede nel futuro.

 

 

Da "Economia di Comunione - una cultura nuova" n.32 - dicembre 2010

 

 

Tags: 3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 19, 31, 86, 88, 91

Stampa