I segni dei tempi: una crisi antropologica

paperoneGuardatevi dai falsi profeti... Dai loro frutti li  riconoscerete… Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi né un albero cattivo può produrre frutti buoni… (Matteo, 7, 15 – 18).

 

I frutti della pianta culturale dei nostri tempi sono buoni o cattivi?

Se i frutti sono la disuguaglianza, la disoccupazione, la povertà, il degrado morale, la disintegrazione della famiglia e della società,  sono cattivi. Se la pianta è cattiva, va ripensata. a storia ci fa vedere nei fatti i segni dei tempi, ma sembra che si sia incapaci di capire le radici di una crisi che non è economica, bensì antropologica.  

 

I dati sulla disuguaglianza a livello globale sono terribili: le 85 persone più ricche al mondo hanno un patrimonio simile a quello di 3,5 miliardi di persone (la metà degli abitanti del pianeta). Ma è nei paesi di cultura anglosassone – USA e Gran Bretagna -  che il contesto sociale sembra sfaldarsi. Negli USA il reddito dell’1% più ricco rappresenta il 40% del reddito totale, e il trend è in peggioramento, perché la crescita  del PIL non risolve i problemi. Infatti la bassa tassazione favorisce la concentrazione e la disuguaglianza aumenta, come la povertà, ormai ai livelli del 1963, e rischia di fare esplodere le patologie sociali.

La massa monetaria è incalcolabile e sembra non avere più riferimento ai beni reali. Quanto sono le riserve auree? Sembra si voglia curare una tossicodipendenza aumentando le dosi.

Il PIL non cresce come dovrebbe, ma come ricostruire una manifattura ormai delocalizzata? La disoccupazione viene mascherata dalla sottoccupazione; la stratificazione verso l’alto della ricchezza sta portando il sistema ad un punto di non ritorno. Una svalutazione del dollaro in un’economia pensata sulle importazioni farebbe crollare i consumi interni.

In Gran Bretagna le cinque famiglie più ricche hanno un patrimonio simile al 20% della popolazione più povera. Il paese è molto più povero di prima, con 1/3 della popolazione sotto la soglia della povertà, e la finanza ne è diventato il motore. Tutto gira attorno alla City, con una manifattura crollata al 5% dell’occupazione. Lo stesso trend negli USA ha portato, nei primi dieci anni del nuovo secolo, gli occupati nella manifattura al 12%. Con la delocalizzazione, funzionale alla finanza, hanno perso otto milioni di posti di lavoro.  

L’Europa è diversa, perché ha mantenuto il contatto con la sua storia, fatta di economia reale e di welfare.

La cultura occidentale non è dunque più il tutt’uno di trent’anni fa, ma percorre vie diverse.

Quale via dobbiamo percorrere per cambiare una storia che sembra avere dimenticato i diritti universali dell’uomo ?

 
La degenerazione di questo sistema sociale deve essere ricondotta al ruolo che abbiamo acriticamente attribuito all’economia e alla finanza come verità assolute, in grado di risolvere ogni problema sociale.

Il processo degenerativo ha avuto un’accelerazione quando, con la caduta del muro di Berlino, quella convinzione poteva essere considerata verità incontrovertibile.

La finanza, allora, si era staccata dall’economia reale assumendo una sua vita indipendente, legittimata accademicamente: diventando una scienza esatta. E, per quanto si trattasse di un’ipotesi  destituita di fondamento, gli obiettivi sono stati perseguiti con lucida determinazione: con le conseguenze che abbiamo davanti agli occhi.

 

La finanza è amorale, perché chi decide non si pone il problema delle conseguenze delle sua decisioni. Il fine è la massimizzazione dell’interesse individuale a breve termine; un interesse lesivo di quello collettivo, che richiede orizzonti temporali a lungo termine.

Ma la finanza è diventata sovraordinata all’economia reale, il contrario di quello che dovrebbe essere. La moneta fine a se stessa depaupera così il sistema e divora dal di dentro la ricchezza, accelerando la sua concentrazione fino a quando le patologie sociali esplodono, indebolendo l’intera struttura sociale e portandola al collasso.

La finanza è diventato un sistema esterno all’uomo, che si autoalimenta e non è governabile se non da pochi. Un sistema che ci tiene prigionieri.

Un sistema che detta bisogni sempre nuovi, facendo perdere la capacità di capire quali siano giusti e quali no.

Purtroppo, senza una corretta gerarchia di valori, si cade nel caos morale, come i fatti di tutti i giorni ci dimostrano. Le società perdono coesione e si indeboliscono, rimettendo in gioco gli equilibri globali.

 

Le debolezze sociali generate da una finanza oligarchica negli USA e nella Gran Bretagna sono emerse con evidenza sia nella crisi della Siria che in quella della Crimea, in cui la Russia di Putin è tornata ad esprimere un ruolo di forza che da tempo aveva perso.

La naturale vicinanza storica tra Germania e Russia ha inoltre indebolito ulteriormente il ruolo degli USA nella politica europea. Il che rende il futuro pieno di incognite.  

In Italia siamo in mezzo, ancora indecisi sul da farsi.

La nostra storia è fatta di economia reale e di capitale sociale, di artigianato e di manifattura. La finanza non è nel nostro DNA; se la seguiamo rischiamo di perdere, e di essere sottomessi da una cultura che non ci appartiene.

Il 95% degli occupati è nelle  piccole e medie aziende; ma si continua a ignorare una storia fatta nei secoli, proponendo ricette già fallite dove sono state pensate. 

Gli investimenti della finanza USA nel paese, fatti con una velocità inusuale, lasciano perplessi, perché non sono finalizzati a generare occupazione, ma sembrano più orientati, avendo acquisito partecipazioni importanti nelle tre principali banche italiane, verso una partecipazione al governo della finanza.

A quali fini risponde quella strategia di investimento?

  

Il problema di fondo è la svolta a cui la storia ci mette di fronte.

Quanto pensiamo possa durare un sistema sociale così profondamente squilibrato? Possiamo continuare a pensare che l’economia reale sia ancillare a quella finanziaria? Possiamo continuare a pensare che la società debba essere al traino di una cultura che la impoverisce nei valori di base? 

A queste domande la storia ha sempre risposto che, prima o poi, si arriva a un punto di non ritorno, quando ci si trova di fronte al caos. Speriamo che l’homo sapiens sappia scegliere la strada giusta prima che sia troppo tardi.

 

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