Prime riflessioni su economie e religioni.

zakat«Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore».

 

Robert M. Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta (Zen and the Art of Motorcycle Maintenance, 1974), traduzione di Delfina Vezzoli, Adelphi, Milano 1990

 

 

In occasioni più o meno ricorrenti di discussione all’incrocio tra scienze economiche e scienze umane, si sono messi sotto indagine gli assunti impliciti e espliciti delle teorie economiche.

Concetti economici come “razionalità”, “utilità”, “(neo)-liberalismo”, “capitale” e “profitto” hanno indotto gli studiosi a riflettere sul tipo di antropologia e orizzonte culturale ad essi riconducibili.   Emblematico è il caso dell’interpretazione degli scritti di Adam Smith, tale da dare adito ancora oggi al cosiddetto “Adam Smith Problem”. “Vi porto i saluti di Adam Smith, che è vivo e vegeto e abita a Chicago”, recita una battuta dell’economista premio Nobel George Stigler, ad indicare l’affezione dell’economia neoliberista per il filosofo scozzese. L’interpretazione del self-love smithiano, motore della mano invisibile che autoregola il mercato, ha seguito una traduzione in tutte le gradazioni possibili, da utility-maximizing behaviour, all’amore di sé che fonda una naturale simpatia tra esseri umani, ispirando economisti, antropologi, e teologi. Allo stesso modo il principio generalmente condiviso di concorrenza di mercato è stato tradotto o meno sul piano morale con l’egoismo umano. A questo crocevia di discussione appaiono ricorrenti le figure di Max Weber e di Karl Marx, capaci di ispirare economisti, politologi, sociologi e filosofi nella complessa questione di definire macrocategorie come etica religiosa, spirito economico, nell’intreccio tra religione e capitalismo.

Che cosa significa sintetizzare un percorso di studi sull’argomento “economie e religioni” fissandone gli sviluppi diacronici e fotografandone gli approcci pluridisciplinari? Significa occuparsi di oggetti ambigui e di difficile definizione.

Anzitutto occorre rispondere alle domande “Che cosa è l’economia?”, “Che cosa è la religione?”:  l’economia è un insieme di relazioni sociali, è la descrizione del loro dipanarsi nei tre ambiti di produzione,  circolazione e distribuzione di prodotti e servizi attraverso alcuni temi quali la plasticità, l’alienazione, il feticismo; la moneta (in particolare nella sua funzione di riserva di valore e connessione con il dono), il credito, i prodotti finanziari che sono le grandi tappe per ogni tentativo di comparazione –storica, geografica e disciplinare- delle economie. Come la scienza economica, anche la religione è un prodotto sociale e culturale, dentro la storia, e che può essere indagato dalle scienze umane

Riflettere su economia e religioni significa anche occuparsi di discipline e approcci differenti: non solo la scienza economica (o meglio al plurale, le scienze economiche) che è la formalizzazione delle relazioni e attività di stampo epistemologico, ma anche le scienze (tutte) delle religioni e le scienze umane, in generale.

Il saggio che proponiamo è quindi una prima rassegna degli studi che hanno indagato, negli ultimi trent’anni e a partire da sguardi disciplinari differenti, il binomio complesso religione-i e economia-e.

Non si tratta di costruire un piano di lavoro sulle modalità con cui vorremmo trattare la questione, obiettivo che lasciamo all’impresa collettiva di questo libro, ma mappare –in termini di potenzialità e di limiti –  i luoghi e i modi in cui se n’è parlato nel dibattito scientifico e più o meno divulgativo, a livello internazionale, senza trascurare uno sguardo particolare rivolto verso l’Italia.

Pertanto il lavoro è parziale e deve essere preso come un primo, pionieristico tentativo di tracciare uno status quaestionis, sfondando le barriere metodologiche disciplinari, per il presente e il futuro.

Allo stato attuale delle ricerche ci pare di poter dire che nessuno si è cimentato fin ora in una rassegna tematica che trattasse i sotto-temi che del nesso religione/economia sono stati affrontati. Questa l’utilità dello strumento rassegna che qui proponiamo. Essa è organizzata in paragrafi tematici più o meno legati ad ambiti disciplinari, questo perché in molti casi non sarebbe efficace né semplice distinguere aree e approcci.

Riteniamo perciò l’organizzazione tematica fondamentale per orientarsi nel ginepraio in cui siamo immersi, fatto di un numero di studi non eccessivamente imponente, come questa rassegna evidenzia, ma spesso sconosciuti l’uno all’altro e non in dialogo. Si ha la sensazione di una costellazione di studi più o meno gravitanti tra loro, in una parcellizzazione che complica l’intenzione di una rassegna sistematica. I contributi sono polimorfi, discontinui sulle tematiche, metodologicamente differenti e provenienti dalle discipline più disparate tra le quali la sociologia, nel dibattito internazionale, ha avuto un ruolo predominante, almeno per numero di testi prodotti e tradotti.

Cercando quindi di individuare dei paradigmi utili per il futuro, vi sono alcuni temi volti anche a mettere in luce i limiti e la parzialità degli studi finora prodotti:

-       il legame e l’ordine di economia + religione (o religione + economia)

-       la pluralità del concetto di economia e di religione e del metodo delle scienze a essi legate

-       il pluralismo delle religioni (non solo i cristianesimi)

-       la prospettiva diacronica e l’attenzione alla contemporaneità

-       il triplo piano della pratica, del prescritto e dei modelli

-       la centralità del linguaggio (economico e religioso)

La tematica inizia a mostrare segnali di indispensabile sistematicità, ma il punto di partenza è polifonico: tentare una prima messa in ordine è l’obiettivo di questo lavoro, nella convinzione di essere ormai immersi, bon gré mal gré, nell’interconnettività delle scienze umane.

Nella complessità delle riflessioni, ciò che più caratterizza in termini generali l’economia mainstream, in particolare la microeconomia, è la cosiddetta rational choice theory tesa a comprendere e dare un modello a partire dal comportamento dell’individuo e dell’impresa. Il tipo di razionalità che tale teoria postula equivale al comportamento utile in previsione della massimizzazione dei vantaggi (profitti). La stessa teoria è stata applicata anche ad altre discipline sociali, dalla sociologia alle scienze politiche. Senza dubbio non esiste una sola scienza economica ed è proprio nelle maglie delle posizioni che sono allogene rispetto al mainstream che si possono trovare riflessioni nuove su economia e religione, spesso passando attraverso l’ambito dell’etica.

 

 

Uno degli assi portanti degli studi sociologici su economia/religione è stata la possibilità di leggere le religioni attraverso la lente dell’economia, attribuendo ad esse le stesse logiche e meccanismi del mercato. In questo caso, soltanto raramente, è stato possibile allontanarsi dalla prospettiva della rational choice e del paradigma utilitarista. I quadri teorici economici utilizzati infatti sono stati per lo più quelli provenienti dal mainstream e dunque la postura epistemologica è profondamente influenzata da tale “economic approach”.

Oggi il concetto di “supermarket religioso” è divenuto ormai comune da quando è stato proposto da Berger nel 1963 in A Market Model for the Analysis of Ecumenicity[1]; l’etichetta non è applicabile soltanto alle nuove religioni e ai nuovi movimenti, ma è estendibile a tutte le forme religiose che oggi sono praticate da individui e gruppi: la religione è (anche) un business e, come è stato proposto di recente, la spiritualità contemporanea ha tutte le caratteristiche di una ideologia neo-liberale basata sulla privatizzazione e sulle corporazioni[2].

Interessante è lo studio del 2010 di Philippe Simonnot[3] -giornalista economico- per il quale il valore che un consumatore attribuisce a un bene - nel nostro caso un credo religioso - dipende anche dal numero di utenti di questo bene: una religione ha tanto più «valore» per il credente, è cioè tanto più credibile, quanto più grande è il numero dei suoi fedeli. La più antica delle religioni monoteiste troverebbe, secondo Simonnot, il proprio motore in questioni economiche: la storia del primo ebreo, Abramo, è una storia di conquista di un bene prezioso, la terra; la circoncisione è il segno sulla carne del patto tra Dio ed Abramo che sancisce il legame tra popolo eletto e terra. Altre abitudini, come i matrimoni all’interno dello stesso gruppo familiare, si spiegano attraverso una razionalità economica. Così il centro religioso, il tempio di Gerusalemme, ne è stato il baricentro religioso, statale ed economico. Il cristianesimo, apparso in seno all’ebraismo come reazione ad un momento di  crisi, applica un’altra logica utilitaristica mirando alla conquista di Roma, e per ottenerla rinuncia alla circoncisione e alle rigide normative alimentari ebraiche. Attraverso l’esaltazione della castità, del tutto inedita, la Chiesa si arricchisce di una gran quantità di patrimoni che perdono i loro eredi naturali. L’islam, infine, identifica la umma, la comunità dei fedeli, e lo Stato in maniera immediata, e a tutti coloro che non vogliono convertirsi viene imposto un tributo di protezione. Pur non elaborando un sistema fiscale paragonabile alla decima ebraica poi mutuata dal cristianesimo, l’islam considera l’elemosina – essenziale per il suo sostentamento – uno dei pilastri della vita del fedele. Se ne conclude che le tradizioni religiose seguono delle logiche economiche che è utile conoscere e interpretare per apprendere il senso stesso di tali religioni.

Gli storici hanno letto l'economia antica, moderna e contemporanea legandola in geometrie variabili alla religione e alle comunità religiose, secondo diverse prospettive, di influenza reciproca, di contaminazione lessicale, teorica e pratica. Nell’impossibilità di elencare qui tutti gli studi di questo genere e restringendo il campo agli storici che si sono occupati dell’area occidentale, durante i primi secoli di sviluppo del Cristianesimo, vorremmo citare il colloquio su Economie et religion dans l’antiquité tardive, svoltosi a Bordeaux nel 2005, organizzata da Eric Rebillard e Claire Sotinel[4]: i contributi hanno affrontato temi differenti, di fatto avendo come riferimento principale la cultura cristiana, dal trasferimento dell’ideologia e del linguaggio cristiano nell’ambito economico durante la Tarda Antichità, all’uso metaforico del linguaggio economico applicato a concetti del trascendente, alla prossimità in chiave economica della sfera del sacro con quella del profano, all’esegesi storica di alcuni passi neotestamentari relativi alla moneta e all’accumulo di ricchezze, al mecenatismo religioso, all’amministrazione dei beni ecclesiastici.

Siamo di fronte a un tentativo di analizzare in profondità e secondo chiavi di lettura di diverso genere la storia economica del cristianesimo o la storia cristiana dell’economia che aveva già mosso l’interesse di numerosi studiosi[5]. Un problema di fondo è relativo a quali categorie fanno ricorso gli storici poiché spesso hanno come unico punto di riferimento l’economia  mainstream  che per altro non fa che inasprire la polarità antico/moderno-contemporaneo.

 

Senza dubbio, se pur letto da uno specifico angolo di visuale, un punto di riferimento necessario è Max Weber e gli studi sullo spirito del “capitalismo”[6] , a partire dal quale e in alcuni casi  oltre il quale si situano gli studi che proponiamo in questo paragrafo.

Da un punto di vista più generale circa l’influenza di prospettive religiose sulle pratiche e teorie economiche, nell’ambito, per così dire, erede di precedenti grandi pensatori cattolici che hanno dedicato i loro studi al binomio economia e temi sociali[7], si segnala in Italia un gruppo di economisti che negli ultimi tempi sta lavorando sulla questione dei valori intrinseci, per i credenti anche religiosi, altrimenti detti virtuosi o di reciprocità gratuita, nella dinamica economica. L’intento apologetico di alcuni di questi studi è evidente, un intento che fa pendant ad un impegno personale di alcuni degli studiosi citati all’interno di ambienti cattolici osservanti.

Riguardo al rapporto tra etica cattolica e spirito del capitalismo, vi sono stati a lungo  due punti di vista : per un verso, quello di chi ritiene che la coscienza cattolica non può che essere radicalmente anticapitalista, vedendo nel capitalismo un avversario da vincere non meno pericoloso del comunismo. Costoro[8] si appoggiano  alla linea di pensiero che va dalla Rerum Novarum, (1891), alla Quadragesimo Anno, (1931), alla Gaudium et Spes, (1968), fino al Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992. Per l’altro verso, il punto di vista di coloro che invece ritengono che a partire almeno dalla Centesimus Annus (1991) di Giovanni Paolo II si sarebbe verificata la tanto attesa “svolta”. E’ questa la tesi di M. Novak e di altri studiosi noti in America come neoconservatori[9], secondo i quali all’origine del mancato incontro tra ciò che essi chiamano “capitalismo democratico” e etica cattolica starebbe l’erronea identificazione fra “spirito borghese” e irreligiosità.

Esiste anche una terza via fondata sulla constatazione che il pensiero cattolico da sempre rifiuta questa sorta di dicotomie e proposta, in particolare, da Luigino Bruni e Stefano Zamagni[10], i quali ragionano sul ruolo del principio di reciprocità e virtù civile nella dinamica di mercato, valori che fondano, rifondano o correggono i meccanismi del libero mercato.

Economista che non si occupa di cattolicesimo, ma di “altre religioni”, minoranze o no che siano, è Maria Stella Botticini, professore di Economia e direttore del centro di ricerca IGIER presso l’Università Bocconi di Milano. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sulla storia economica, la microeconomia e l’analisi economica delle istituzioni. Gli studi che ci interessano ruotano attorno alle diverse modalità in cui le religioni impongono o sanzionano comportamenti e pratiche economiche. Se una religione vieta alcuni cibi mentre un'altra impone ai genitori di insegnare a leggere ai propri figli, derivano conseguenze economiche importanti, basti pensare al fatto che l'India di oggi abolisce un'istituzione - la dote della sposa allo sposo - che è esistita per millenni in tante civiltà. Il suo percorso sulle leggi o norme religiose anti-usura, sugli  effetti che creano queste restrizioni è tema di ricerca della Botticini che ripercorre alcune storie di temi economici ricostruiti anche a partire dal contesto culturale e religioso entro cui essi si sviluppano[11].

 

Uno dei temi più classicamente trattati è la rilettura (e la riscrittura) dell’economia come religione,  in particolare la costruzione “mitica” del capitalismo e del neo-liberismo come oggetto religioso. Lo slittamento e l’ambiguità semantica del termine e del concetto stesso di oikonomia ben si presta, storicamente, a fornire la ragione di un tale processo.

Una importante introduzione alla polisemia originaria del termine oikonomia, dal campo filosofico a quello teologico, ci viene offerta dalla relativa voce del Vocabulaire européen des philosophies[12]. Da Senofonte, Aristotele, a Paolo di Tarso, dall’uso fattone contro gli iconoclasti e dai padri della chiesa, il termine acquista una profonda unità come concetto regolatore delle relazioni del mondo spirituale con il mondo temporale, e insieme, come modalità di gestione e amministrazione del mondo visibile.

In Italia, il filosofo Giorgio Agamben, ha dedicato un volume[13] dell’opera sulla genealogia del potere in Occidente alla relazione tra espressione gloriosa del potere ed espressione economica e gestionale. La teologia cristiana sarebbe il solco entro il quale si muovono entrambe: la teologia politica, paradigma della regalità gloriosa, e oggi della filosofia politica e della moderna teoria della sovranità; la teologia economica, con analogie e ascendenze nell’articolazione dell’economia trinitaria, paradigma della governo gestionale e del moderno trionfo dell’economia sopra ogni altro aspetto della vita sociale. Con teologia economica cristiana Agamben intende quel principio di libera azione e decisione all’interno dell’unico Dio per un’articolazione interna (trinitaria) ed esterna rivolta alla Rivelazione. Oikonomia così, prima di divenire una forma di  prassi economica, è un paradigma politico in senso lato, la forma della libera gestione, del governo efficace del potere.

Già all’inizio dell’Novecento gli antropologi hanno avuto il merito di proporre delle visioni economiche alternative, mettendo al centro il tema del dono. Poiché lo scambio, la relazione, la reciprocità non è soltanto alla base delle relazioni tra uomini ma anche tra uomo e divinità, dei o Dio, il dono non è solo il punto di partenza negli studi dell’antropologia economica, ma anche degli studi antropologici su religione e economia: dal Saggio sul dono di Marcel Mauss alle sfaccettate posizioni degli autori del Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali (MAUSS), movimento fondato nel 1983, ispirato dal pensiero di Durkheim, e di Polanyi, nel tentativo di coniugare ricerca scientifica e enjeux politici e sociali. In particolare del MAUSS dobbiamo segnalare la rubrica Ethique, religion et symbolisme che ha prodotto riflessioni sul legame tra etica mondiale post-religiosa e società contemporanea[14].

Il modello economico mainstream è, infatti, essenzialmente utilitarista: è il modello della razionalità strumentale, al quale, al massimo, vengono apportati dei correttivi, come la constatazione che la razionalità umana è sempre limitata. Al contrario, il Saggio sul dono cerca di contrastare l’economicizzazione delle relazioni sociali, a partire dall’esempio delle “società arcaiche”, e di porre in rilievo il fatto che il modello utilitarista, seppur ormai dominante, è storicamente determinato. L’ambiguità del dono analizzato da Mauss è dovuta alla sua continua oscillazione tra obbligo e libertà: nel dono di Mauss convivono due elementi che la modernità non può fare a meno di scindere: gratuità (che nella modernità contraddistingue il dono altruistico, divino, e dunque impossibile) e utilità (che nella modernità contraddistingue il dono utilitario, di sapore ipocrita). Il dono è considerato veicolo di alleanza, un elemento di reciprocità positiva. In quanto legato alla persona, ai legami sociali e all’identità, il dono è una categoria religiosa[15].

Di recente Chris Hann e Keith Hart (2011)[16], antropologi dell’economia, hanno offerto un percorso cronologico sul modo in cui la disciplina antropologica abbia contribuito alla comprensione delle tre grandi questioni della storia economica moderna: lo sviluppo, il socialismo e il capitalismo globalizzato. Allo stesso tempo, gli autori sottolineano quali siano i rapporti dell'antropologia economica con la filosofia occidentale, la teoria sociale e la storia.

Per quanto l'antropologia si sia da sempre interessata al comportamento economico degli uomini e delle società, riconoscendo in esso l'autentico enigma del rapporto sociale, raramente gli antropologi erano riusciti a influenzare gli economisti che bollavano le loro scoperte tutt'al più come esotiche curiosità. Gli sconvolgimenti dell'epoca attuale hanno scompaginato le carte e imposto di rivedere metodologie e modelli interpretativi: si prospetta dunque una stagione più fertile di riflessione per l’antropologia economica e suoi rapporti con le discipline e teorie economiche.

 

Da un paio di  decenni le istituzioni finanziarie islamiche o dotate di uno sportello islamico, i fondi di investimento, le industrie islamiche hanno un ruolo sempre più importante sulla scena internazionale e sono al centro dell’interesse di economisti e sociologi[17]. Si tratta di  un modo diverso di intendere economia e finanza, fatto di pratiche, transazioni e contratti finanziari conformi ai dettami coranici. Vi sono principi ispiratori dei meccanismi di questo sistema e pertanto occorre prestare attenzione ad alcuni aspetti caratteristici: l'evoluzione storica delle strutture economiche e finanziarie del mondo musulmano, il funzionamento di una banca islamica e le sue differenze con quelle convenzionali, i capitali “islamici” e il controverso rapporto col sistema di microcredito.

L'esperienza dell'Islam contemporaneo dimostra che la globalizzazione non spinge verso l'adeguamento passivo e l'omologazione,  ma verso una reazione dei mondi vitali delle persone. In questo contesto, la società civile è il luogo in cui è possibile osservare non solo l'avanzare di un pervasivo processo di islamizzazione, ma anche la trasformazione dell'Islam da religione tradizionale a ideologia.

 



[1] Peter L. Berger, A Market Model for the Analysis of Ecumenicity, in «Social Research: An International Quarterly», XXX, 1(1963), pp. 77-94.

[2] Si veda il saggio di J. E. Carrette, R. King, Selling Spirituality: The Silent Takeover of Religion, Routledge, London 2005.

[3] Philippe Simonnot, Il mercato di Dio – La matrice economica di ebraismo, cristianesimo ed islam, Fazi Editore, Roma 2010 (ed. or. Le marché de dieu. L'économie des religions monothéistes, Denoël, Paris 2008).

[4] Atti pubblicati in Economie et religon dans l’Antiquité Tardive, Colloque de Bourdeaux 21-22 Janvier 2005, Ausoinius, É. Rebillard-C. Sotinel (a cura di), in «Antiquité Tardive» XIV(2006), pp. 16-116.

[5] Sarebbe impossibile citare tutti gli studi che da un punto di vista storico hanno tenuto insieme economia e storia del cristianesimo antico; si rimanda al saggio di Maria Chiara Giorda, Oikonomia domestica e oikonomia monastica. Scambio di “buone pratiche” tra due tipologie di famiglie in Egitto (IV - VII secolo), in «Rivista di Storia del Cristianesimo» VIII,2(2011), pp. 329-356 per una prima rassegna bibliografica, e al saggio di Giulio Maspero, Storia e salvezza: il concetto di oikonomia fino agli esordi del III secolo, in Pagani e cristiani alla ricerca della salvezza (secoli I-III): XXXIV Incontro di Studiosi dell'Antichità Cristiana, Roma, 5-7 maggio 2005, Augustinianum, Roma 2006, pp. 239-260.

[6] Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR, Milano 1991 (ed. or. Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, Tübingen 1904-1905).

[7] Jean-Yves Calvez, Chrétiens, penseurs du social : Maritain, Mounier, Fessard, Teilhard de Chardin, de Lubac 1920-40, du Cerf, Paris 2002; Id., Chrétiens penseurs du social, II. Lebret, Perroux, Montuclard, Desroche, Villain, Desqueyrat, Bigo, Chambre, Bosc, Clément, Giordani, Courtney Murray, Ellul, Mehl - 1945-67, du Cerf, Paris 2006.

[8] Per un percorso storico e un bilancio si veda Giulio Pecorari, Alle origini dell'anticapitalismo cattolico. Due saggi e un bilancio storiografico su Giuseppe Toniolo, Vita & Pensiero, Milano 2010.

[9] Michael Novak, Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo, Studium, Roma 1987 (ed. or. The spirit of democratic capitalism,           Simon and Schuster, New York 1982).

[10] Luigino Bruni-Stefano Zamagni, L’economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, Bologna 2004.

[11] La Princeton University Press pubblicherà due suoi libri: The Chosen Few: How Education Shaped Jewish History,70–1492; Id., Price of Love: Marriage Markets in Comparative Perspective.

[12] « Oikonomia/économie», in Barbara Cassin (a cura di), Vocabulaire européen des philosophies, Seuil, Paris, 2004, pp. 872-876. Si veda anche Maris-José Mondzain, Image, icône, économie, Paris, Le Seuil, 1998.

[13] Giorgio Agamben, Il Regno e la Gloria, Bollati Boringhieri, Torino 2007.

[14] Si rimanda al sito del MAUSS (http://www.revuedumauss.com/) dove è possibile leggere articoli, recensioni e riflessioni scritte in varia forma relative al ruolo della religione nella società contemporanea.

[15] Maurice Godelier, Une domaine contesté: l’anthropologie économique, Mouton, Paris-La Haye 1974; Id., L’enigme du don, Fayard, Paris 1996; Lewis Hyde, Il dono. Immaginazione e vita erotica della proprietà, Bollati Boringhieri, Torino, 2005 (ed. or.  The Gift: Imagination and the Erotic Life of Property, Vintage Random House, New York 1983); Jacques T. Godbout, Quello che circola tra noi. Dare, ricevere, ricambiare, Vita & Pensiero edizioni, Milano, 2008 (ed. or. Ce qui circule entre nous. Donner, recevoir, rendre. Seuil, Paris 2007); Marshall D. Sahlins, L’economia dell’età della pietra, Bompiani, Milano, 1980 (ed. or. Stone age economics, Tavistock, London 1974), Alfredo Salsano, Il dono nel mondo dell’utile, Bollati Boringhieri, Torino 2008.

[16] Chris Hann e Keith Hart, Antropologia economica. Storia, etnografia, critica, Einaudi, Torino 2011 (ed. orig. Economic anthropology : history, ethnography, critique, Polity, Malden, 2011) Rimandiamo alla versione originale, per i problemi della traduzione italiana si veda M. Cedrini: http://lindiceonline.blogspot.it/2012/04/tutto-anche-niente-e-meglio-di-una.html?spref=fb .

Si veda anche la ricostruzione di Tullio Tentori, Elementi di antropologia economica, Armando Editore, Roma 2010, con saggi di Gorge Dalton, Raymond Firth, Maurice Godelier, Karl Polanyi, Tullio Tentori.

[17] Farhi Soraya, La banca islamica e i suoi fondamenti teorici, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010; Rony Hamaui-Marco Mauri, Economia e finanza islamica. Quando i mercati incontrano il mondo del Profeta, Il Mulino, Bologna 2009; Siagh Lachemi, L'Islam e il mondo degli affari. Denaro, etica e gestione del business, ETAS, Milano 2008 (ed. or. L'islam et le monde des affaires. Argent, éthique et gouvernance, Editions d'Organisation, Paris 2003); Niccolò Borracchini, Banche e immigrati. Credito, rimesse e finanza islamica, Pacini Editore, Pisa 2007; Enrico Giustiniani,  Elementi di finanza islamica, Marco Valerio Editore, Torino 2006; Gabriella Gimigliano-Gennaro Rotondo (a cura di), La banca islamica e la disciplina bancaria europea, Giuffrè, Milano 2006; Atilla Yayla (a cura di), Islam ed economia di mercato, Rubbettino, Soveria Manelli 2005 (ed. or. Islam, Civil Society, and Market Economy, Liberte book, Ankara 2002); Gian Maria Piccinelli, Banche Islamiche in Contesto non Islamico. Materiali e Strumenti Giuridici, IPO, Roma, 1996.

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