MADRE TERESA E SACCIDĀNANDA

Gloria Germani

 

Madre Teresa ricevette la sua «chiamata nella chiamata» il 10 settembre 1946 e da quel giorno ebbe inizio il suo non facile cammino di religiosa per seguire il comando di Dio e servire i più poveri, condividendo la loro totale povertà. Ella chiese dunque l’esclaustrazione dall’ordine di Loreto e lasciò il convento pur rimanendo sempre all’interno della Chiesa cattolica romana.

La Congregazione delle Missionarie della Carità venne approvata e istituita nel 1950, ma solo nel 1965 ottenne l’approvazione pontificia. Ciò significa che fino ad allora la congregazione era posta sotto la giurisdizione dei vescovi cattolici indiani, ma con l’atto pontificio essa ottenne formale riconoscimento in tutta la Chiesa cattolica e pertanto poté istituire sedi in tutto il mondo. Fu così che, nello stesso anno, su richiesta dell’arcivescovo locale, madre Teresa aprì la prima casa fuori dall’India, in Venezuela. Seguirono dieci anni in cui la congregazione si espanse anche nel mondo occidentale, industrializzato, con case a Londra, New York, Belfast, Roma.

Nel 1976, proprio nei sobborghi periferici del Bronx (New York), Madre Teresa fonda il nuovo ramo delle Missionarie della Carità Contemplative, in un primo momento chiamate Sorelle della Parola. La superiora è suor Nirmala Joshi, di origine nepalese e proveniente da una famiglia di brahmani indù. L’anno seguente venne istituito anche il ramo maschile contemplativo che prende il nome di Fratelli della Parola: il servo-guida è Angelo Devananda Scolozzi.

Dopo il 1965, pertanto, Madre Teresa viene in contatto con il mondo occidentale industrializzato e prende coscienza di un tipo di povertà – quella spirituale – molto più dura e difficile da alleviare.

Ma vediamo come Madre Teresa stessa si esprime a proposito di questa nuova forma di povertà: «Voi, in  Occidente, vi trovate ad avere a che fare con coloro che sono i più poveri spiritualmente fra i poveri, piuttosto che con persone povere in senso fisico. Assai spesso fra i ricchi vi sono persone spiritualmente molto, molto povere. Trovo che non sia difficile dare un piatto di riso a una persona affamata, procurare un letto a chi non ha un giaciglio, ma consolare o eliminare un certo tipo di amarezza, sopprimere quella rabbia, rimuovere quella solitudine, richiede molto tempo». «Per noi Sorelle [attive], quell’affamato lo è più in senso materiale e per voi Fratelli [contemplativi] è invece un affamato spirituale, una persona spiritualmente nuda, spiritualmente senza dimora. Credetemi, Fratelli, trovo assai più difficile lavorare con gente che prova questo tipo di amarezza, che avverte questa angoscia nel cuore, che si sente rifiutata, non amata, trascurata».

(…)

È significativo che il servo-guida dei Fratelli della Parola, Angelo Devananda Scolozzi – in un libretto del 1985 molto bello, ma esaurito e non riedito – descriva gli inizi dell’istituzione del ramo contemplativo delle Missionarie della Carità con queste parole:

«La fondazione dei contemplativi venne come risposta a una precisa esigenza interiore: inziò proprio con un incidente che ebbe la Madre. Una caduta dal letto!... Ella incominciò a considerare l’inevitabilità della malattia e dell’età avanzata, quando lei e le suore non sarebbero state più in grado di esplicare fisicamente il loro servizio ai poveri. Questo incidente e l’influsso di suor Nirmala, una nepalese convertita dall’induismo e dotata di un profondo carisma contemplativo, furono le circostanze che diedero adito alla sua risposta. L’influsso di suor Nirmala si fece strada lentamente nel pensiero della Madre, finché dopo molto travaglio interiore e non poche perplessità, ella decise che la vocazione contemplativa specifica di suor Nirmala sarebbe divenuta parte ufficiale della vita delle Sorelle Missionarie della Carità. Come primo passo, la madre decise di mandare suor Nirmala Joshi a trascorrere qualche tempo con padre Bede Griffiths nel suo eremo  nel Tamil Nadu, nell’India del Sud. Padre Bede, monaco camaldolese, è un noto studioso e un uomo molto saggio, scrittore profondo sul dialogo indù-cristiano. Vive a Shantivanam, un eremo benedettino fondato da padre Jules Monchanin e da padre Henry Le Saux osb, pionieri del rinnovamento monastico e liturgico in India.

Mentre suor Nirmala era con padre Bede, la Madre, invitata dal Temple of Understunding a partecipare alla Spiritual Summit Conference organizzata in occasione del trentesimo anniversario delle Nazioni Unite, partì per New York. La conferenza fu tenuta il 24 ottobre 1975. Suor Nirmala e la Madre erano rimaste d’accordo che al suo ritorno da New York avrebbero aperto una casa contemplativa ai piedi dell’Himalaya, invece al suo ritorno in dicembre, con grande sorpresa di tutti, Madre Teresa annunziò, con quella semplicità che è sua prerogativa, che la prima casa contemplativa sarebbe stata fondata non in India ma a New York… In seguito, quando le fu domandato perché aveva iniziato il ramo contemplativo negli Stati Uniti invece che in India, la Madre rispose semplicemente: “ Negli Stati Uniti sono pronti per questo”. In realtà aveva scoperto in America la neo-povertà del mondo sviluppato, la povertà spirituale del ricco, la desolante povertà dell’isolamento».

Questo riferimento a suor Nirmala e ai contatti con Shantivanam – non riportato dai molti libri biografici su Madre Teresa, benché senz’altro fornito da fonte autorevole – acquista ancora più importanza per noi, dal momento che nel 1997 suor Nirmala è stata nominata Superiora generale della congregazione, dietro indicazione di Madre Teresa. La testimonianza di Scolozzi riguarda, dunque, un indirizzo importante e durevole nella storia delle Missionarie della Carità e ci fornisce così una conferma esterna della fondatezza della linea interpretativa da noi seguita.

È lecito pensare, infatti, che l’esigenza di un’interiorizzazione sempre maggiore, avvertita da Madre Teresa e supportata da suor Nirmala, abbia trovato un terreno fecondo nel percorso tracciato da Le Saux, Monchanin, Griffiths sull’incontro tra cristianesimo e induismo.

L’esperienza di questi religiosi, che non abbandonarono mai il cristianesimo ma vissero con gli abiti dei samnyāsin indù e dei monaci mendicanti dell’India, rappresenta il primo e più importante esempio di dialogo tra le due religioni, scevro da ogni ottica sia di «evangelizzazione» sia di colonialismo culturale e religioso.

 

 

Gloria Germani vive e insegna a Firenze. Il testo è tratto dal libro ‘Teresa di Calcutta, una mistica tra Oriente e Occidente’, Edizioni Paoline, Milano 2003, pp. 205-210

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