L’ARTE DI AMARE - In ricordo di Chiara Lubich

Roberto Catalano

 

chiara_sm«E’ difficile uscire indenni da un incontro con Chiara!».

La frase, di una decina di anni fa, è di un laico, il giornalista Sergio Zavoli. È una frase efficace per dar l’idea di chi era questa maestra che, poco più che ventenne, intorno al ’40, affascinava già i suoi allievi nelle scuole delle valli del trentino. Nel corso dei suoi 88 anni di vita Chiara si è incontrata con centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. L’effetto di questi incontri è stato duplice: nessuno l’ha lasciata indifferente, ma anche nessuno è rimasto indifferente al suo passaggio, al suo sguardo, alla sua parola e, a volte, anche alla sua semplice presenza. Basta lasciarsi prendere per mano da alcuni dei commenti rilasciati, spesso a caldo, da chi l’ha incontrata alle latitudini più diverse.

«Ho vissuto in un monastero per sessant’anni e sono persino stata in India, ma non avevo mai sentito delle cose così belle!» diceva una monaca buddista thailandese ultra ottantenne, dopo aver ascoltato la Lubich parlare in un tempio di Chiang-Mai, nel nord della Thailandia.

«Credo che sia tutto venuto dal suo cuore con sincerità vera: questo è ciò di cui abbiamo bisogno oggi nel mondo. La società globale ci chiede la sincerità. Siamo tutti una famiglia: discendiamo tutti da Adamo». così una giovane afro-americana ad Harlem, fuori della moschea Malcolm Shabazz dove Chiara aveva appena parlato, prima donna e prima bianca a farlo. Giustamente l’Imam W.D. Mohammed aveva sentenziato: «È un grande giorno per noi. Oggi qui ad Harlem si è scritta una pagina di storia».

«Chiara va al di là delle barriere religiose» affermava Krishnaraj Vanavarayar, uno delle figure di spicco del sud India, nel presentarla a 600 indù della sua città, Coimbatore. All’altro capo del mondo, a Buenos Aires, l’ebreo Elias Zviklic, governatore della B’nai B’rith International, azzardava una lettura altrettanto coraggiosa «Questa donna ci porta una nuova apertura, che era cominciata con Giovanni XXIII, continuata con Giovanni Paolo II e che porta l’approvazione di centinaia di migliaia di persone che hanno capito che non esiste altra possibilità per gli essere umani che quella di cominciare ad essere persone umane».

Zviklic in un certo senso ha sintetizzato il cuore di Chiara, che vorrei esprimere con una bellissima frase che mi ha detto un altro fratello ebreo, qualche giorno fa ad Haifa: «Dire di SI a Dio per dire di SI all’uomo».

Penso che il secolo che abbiamo lasciato alle spalle abbia visto poche persone innamorate di Dio quanto lo è stata la Lubich ma sono altrettanto certo che abbia visto poche persone innamorate dell’uomo di quanto lo sia stato lei.

Era già tutto contenuto in quello struggente desiderio che Chiara avvertiva in cuore negli anni della guerra: amare Dio, certo; ma anche far sì che fosse amato da più gente possibile. Amare Dio per lei non escludeva l’uomo, anzi, non era possibile arrivare al rapporto con l’Assoluto senza un rapporto con l’essere umano. In quel sogno, lei non lo sapeva ancora, e l’avrebbe scoperto poco a poco, c’erano tutti: i cattolici e gli altri cristiani, ma anche i mussulmani, gli ebrei, i buddisti, gli indù ed i sikhs e anche coloro la cui religione sarebbe stata quella di ‘non avere una fede’: il credo dell’uomo occidentale del XX secolo. Il suo amore per Dio è sempre passato per l’uomo e per la donna che incontrava in qualsiasi contesto culturale, religioso e geografico.

Cosa era successo a Chiara?

Ascoltiamolo da lei stessa in una delle pagine forse più poetiche che abbia scritto. «Vedi, io sono un’anima che passa per questo mondo. Ho visto tante cose belle e buone e sono sempre stata attratta solo da quelle. Un giorno (indefinito giorno) ho visto una luce. Mi parve più bella delle altre cose belle e la seguii. Mi accorsi che era la Verità»[1].

In poco più di 60 anni, la Lubich ha disegnato un’altra geografia, per le strade di tutti i continenti. Il mondo che Chiara  ed il suo popolo hanno incontrato non è quello fatto solo di lingue, climi, colori, luoghi. È, soprattutto, quell’universo che nasce nel cuore e nella mente degli uomini, sono le culture e le religioni.

Il segreto di Chiara stava nel riconoscere e valorizzare tutti come persone uniche ed irripetibili. Permettetemi di citare ancora Sergio Zavoli. “Chiunque incontra Chiara Lubich resta colpito da un aspetto della sua personalità: l’assenza di pregiudizio, e questo significa un atteggiamento di fiducia e di apertura.” Questo spiega come Chiara si sia trovata ad essere, senza prevederlo e spesso senza rendersene conto, ispiratrice e protagonista di un viaggio cosmico fra culture e religioni con membri e seguaci, che si sono trovati accomunati, mantenendo sempre il massimo rispetto per le rispettive caratteristiche specifiche, in una comunione planetaria.

Quale il segreto?

L’ha chiamato l’‘arte di amare’, di cui lei stessa è stata esempio vivo ed impareggiabile. Si tratta di voler bene a chi ci è di fronte come ad un vero figlio ed una vera figlia di Dio, senza far distinzione alcuna fra chi è simpatico e chi non lo è, fra chi è attraente e chi vorremmo respingere, fra quelli che sono del nostro stesso Paese e gli stranieri, fra cristiani e mussulmani, fra luterani e atei. Per lei l’uomo e la donna che si trovava davanti erano un’occasione irripetibile e non se lasciava scappare, direi, mai. Tutto nasceva dalla sua esperienza di Dio che è Amore e, dunque, Padre dell’umanità. Con lei tutti si sono sempre sentiti fratelli e sorelle, a cominciare dal popolo Bangwa nel cuore del Cameroum. È proprio a contatto con loro che, lo dice Chiara stessa, “per la prima volta nella mia vita ho intuito che avremmo avuto a che fare anche con persone di tradizione non cristiana.

Cos’era successo?

Ascoltiamolo da lei. È un’esperienza che ha il sapore della profezia.

“Molte sono state [...] le occasioni d’incontro con fratelli e sorelle di altre fedi religiose, ma la prima forte esperienza è stata quella, per me, che ho vissuto [...] a contatto con i Bangwa, una tribù fortemente radicata nella religione tradizionale. [...] Un giorno, il loro capo, il Fon e le migliaia di membri del suo popolo si sono radunati per una festa, in una grande radura in mezzo alla foresta, per donarci i loro canti e le loro danze. Ebbene, è stato lì che ho avuto la forte impressione che Dio, come un immenso sole, abbracciasse tutti noi, noi e loro con il suo amore.[2]

Qualche anno più tardi alla Guildhall di Londra, dopo aver ricevuto il Premio Templeton per il progresso della religione, arrivò la conferma di quanto intuito nel cuore dell’Africa. Furono i buddisti, i sikhs, gli indù a ringraziare Chiara del suo discorso. Le sue parole avevano toccato i loro cuori e richiamato quella ‘Regola d’oro’, presente in tutte le loro scritture.

Da lì partì il viaggio che avrebbe portato Chiara a parlare a migliaia di buddisti in Giappone, prima, ed in Thailandia, più tardi, ai mussulmani nella Moschea di Harlem, agli ebrei, sentiti come veri fratelli e sorelle maggiori[3], agli indù nel cuore dell’India e, poi, a politici in vari parlamenti dell’Europa e del mondo, e ad economisti, ad artisti e ad operatori dei media: un vero dialogo interreligioso ed interculturale a tutto campo.

Verrebbe da chiedersi: ma come ha fatto?

La risposta l’aveva suggerita lei stessa alla Guildhall in quell’ormai lontano 1977. Davanti a rappresentanti di tutte le religioni, citando S. Giovanni della Croce, aveva sigillato il suo intervento con una frase che abbiamo visto vissuta da lei in diretta: “Dove non c’è amore, metti amore e troverai amore.”

Vorrei concludere con quanto il card. Rylko ha affermato durante l’omelia in occasione della messa celebrata per Chiara a trenta giorni dalla sua scomparsa:

«Chiara va annoverata a pieno titolo nell’albo delle grandi donne cristiane del XX secolo che hanno lasciato tracce profonde nella vita della Chiesa e del mondo. […] in cui si il genio femminile si è manifestato con una forza e bellezza possenti; donne che hanno fatto l’esperienza di un incontro intenso con Dio e che l’hanno saputo dire in modo persuasivo ai loro contemporanei».[4]

 

 

 



[1] C. lubich, La Dottrina Spirituale, Città Nuova Editrice, Roma 2006, p. 31.

[2] Chiara Lubich, La mia esperienza nel campo interreligioso: punti della spiritualità aperti alle

religioni, Aachen, Germania, 13.11.1998

[3] cfr. Giovanni Paolo II – Discorso nella Sinagoga di Roma,

[4] Card. S.Rylko, Omelia i occasione della Messa di Trigesima in ricordo di Chiara Lubich, in Mariapoli, 4-5/2008, 43.

 

 

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