Il fiore dell’ultimo Pasolini

pasolini 2Io abiuro dalla Trilogia della vita, benché non mi penta di averla fatta. Non posso infatti negare la sincerità e la necessità che mi hanno spinto alla rappresentazione dei corpi e del loro simbolo culminante, il sesso.

Tale sincerità e necessità hanno diverse giustificazioni storiche e ideologiche.

Prima di tutto esse si inseriscono in quella lotta per la democratizzazione del «diritto a esprimersi» e per la liberalizzazione sessuale, che erano due momenti fondamentali della tensione progressista degli anni Cinquanta e Sessanta.

In secondo luogo, nella prima fase della crisi culturale e antropologica cominciata verso la fine degli Anni Sessanta – in cui cominciava a trionfare l’irrealtà della sottocultura dei «mass media» e quindi della comunicazione di massa – l’ultimo baluardo della realtà parevano essere gli «innocenti» corpi con l’arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali.

Infine, la rappresentazione dell’eros, visto in un ambiente umano appena superato dalla storia, ma ancora fisicamente presente (a Napoli, nel Medio Oriente), era qualcosa che affascinava me personalmente, in quanto singolo autore e uomo.

Ora tutto si è rovesciato.

Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza.

Secondo: anche la «realtà» dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.

Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subìto il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è diventato suicida delusione, informe accidia. [1]

 

Dirò subito, e l’avrete già intuito, che la mia tesi … ha come tema conduttore il genocidio: ritengo cioè che la distruzione e sostituzione di valori nella società italiana di oggi porti, anche senza carneficine e fucilazioni di massa, alla soppressione di larghe zone della società stessa. Non è del resto un’affermazione totalmente eretica o eterodossa. C’è già nel Manifesto di Marx un passo che descrive con chiarezza e precisione estreme il genocidio ad opera della borghesia nei riguardi di determinati strati dele classi dominate, soprattutto non operai, ma sottoprroletari o certe popolazioni coloniali. Oggi l’Italia sta vivendo in maniera drammatica per la prima volta questo fenomeno: larghi strati, che erano rimasti per così dire fuori della storia – la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese – hanno subito questo genocidio, ossia questa assimilazione al modo e e alla qualità di vita della borghesia. [2]

 

Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato «la società dei consumi». Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. Ed invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata civiltà dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. Nel fil di Naldini [Fascista] noi abbiamo visto i giovani inquadrati, in divisa… Con una differenza però. Allora i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi ed i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant’anni addietro, come prima del fascismo.

Il fascismo in realtà li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio, nel fondo dell’anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irreggimentazione superficiale, scenografica, ma di una irreggimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima. Il che significa, in definitiva, che questa «civiltà dei consumi» è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la «società dei consumi» ha bene realizzato il fascismo. [3]

 

La criminalità italiana è un fenomeno imponente e primario della nuova condizione di vita italiana. Non solo i criminali veri e propri sono una «massa»: ma, ciò che più conta, la massa giovanile italiana tout court (eccettuate piccole élites, e in genere i giovani iscritti al Pci) è costituita ormai da criminaloidi: ossia da quelle centinaia di migliaia o milioni di giovani che patiscono la perdita dei valori di una «cultura» e non hanno ancora trovato intorno a sé i valori di una «nuova cultura» (come noi ce la configuriamo): oppure accettano, con ostentazione e violenza, da una parte i valori della «cultura del consumo» (che noi rifiutiamo), dall’altra i valori di un progressismo verbalistico.

Ebbene, per tutti questi giovani vale la figura o «modello» del «disobbediente». In realtà, semanticamente, le parole hanno rovesciato il loro senso scambiandoselo; in quanto consenziente all’ideologia «distruttrice» del nuovo modo di produzione, che si crede «disobbediente» (e come tale si esibisce) è in realtà «obbediente»; mentre chi dissente dalla suddetta ideologia distruttrice – e, in quanto crede nei valori che il nuovo capitalismo vuole distruggere, è «obbediente» - è dunque in realtà «disobbediente».

I giovani del ’68 hanno già fornito un modello di «disobbedienza» (mancanza di rispetto, irrisione, disprezzo della pietà, teppismo ideologico «somatizzato») che ora vale soltanto in realtà per i criminali comuni, che sono una massa, e per le masse di quei criminali potenziali che sono sempre coloro che, come dicevo, hanno subìto da poco una perdita di valori ((cfr. le truppe proletarie delle SS tedesche).

La «distruzione» è in definitiva il segno dominante di questo modello di falsa «disobbedienza» in cui consiste ormai la vecchia «obbedienza». [4]

 

  1. A)Le persone più adorabili sono quelle che non sanno di avere dei diritti.
  2. B)Sono adorabili anche le persone che, pur sapendo di avere dei diritti, non li pretendono, o addirittura ci rinunciano.
  3. C)Sono abbastanza simpatiche anche quelle persone che lottano per i diritti degli altri (soprattutto per coloro che non sanno di averli). [5]

 

 



[1] Pier Paolo Pasolini, ‘Lettere luterane’, Einaudi, Torino 1976, pp.71-72

[2] Pier Paolo Pasolini, ‘Scritti corsari’, Garzanti, Milano 1990, p. 226

3 Ibidem, p.233

[4] Pier Paolo Pasolini, ‘Lettere luterane’, op. cit., pp. 81-82

[5] Ibidem, p.186

Tags: 3, 5, 7, 9, 12, 14, 17, 30, 31, 37, 41, 42, 126

Stampa