Identità religiosa e pluralismo

Alba al GangesÈ anche una questione dello spirito e dello «spirito dei tempi». Fa parte del kairos della nostra cultura contemporanea andare oltre gli apartheid religiosi del passato (per quanto potessero essere giudicati in una situazione diversa. Ho già parlato di mutazione. La nostra identità religiosa non si riduce all’appartenenza alle istituzioni del passato.

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Permettetemi ancora una volta di fare riferimento alla mia esperienza personale. Posso comprendere e anche parlare più di una lingua come se fosse la mia. Vale a dire che posso pensare all’interno di un dato universo linguistico senza bisogno di tradurre da un altro. Ciò naturalmente si applica anche alle religioni in quanto lingue. (…)

Nessuno ha il monopolio della verità, né tantomeno si può dire che i cristiani abbiano il monopolio di Cristo. Cristo è semplicemente (a questo livello del discorso) il simbolo cristiano per la verità, ma non costituisce l’unica definizione possibile, né si può dire che la parola «Cristo» riveli tutti gli altri possibili aspetti della verità. Tuttavia i cristiani non possono che usare questo nome pur confessando che non conoscono l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità di quel mistero che sorpassa ogni conoscenza (Ef 3,18-19).

Questo è detto in termini cristiani, ma è possibile parlare altre lingue che esprimono forza di liberazione e Grazia salvifica – non solo per i credenti delle rispettive religioni (il che è ovvio), ma anche per me. Non è necessario tradurre dal cristianesimo, ma è possibile parlare più lingue. Così facendo scopro che non dico la «medesima cosa», ma che è il mio stesso sé che esprime con sincerità le sue convinzioni. Si tratta di una lingua parallela e posso capire entrambe.

Dopo aver riflettuto in questo senso sottopongo le religioni a profonde re-interpretazioni per le quali mi ritengo unicamente ma coscienziosamente responsabile. Sono un cristiano che Cristo ha condotto a sedersi ai piedi dei grandi maestri dell’induismo e del buddhismo diventando anche loro discepolo. (…)

Ma questo non è tutto. All’altro estremo dello spettro posso compiere passi analoghi. Sono un hindū portato dal suo karman a incontrare il Cristo e un buddhista che grazie all’impegno personale ha conseguito risultati simili nelle altre due tradizioni.

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Qual è allora la mia religione? Non appartengo simultaneamente a tutte e tre? O piuttosto non vengono armoniosamente trasformate in me? Non sono forse le acque del Bhāgirāthī, dell’Alaknanda, del Gomati, dello Yamunā, del Ghaghra, del Son, dell’Assi, del Varuņa, tutte acque del Gange dopo un certo punto? Avrei potuto parlare delle acque del Rio Negro, del Japurà, del Juruà, del Purus, del Madeira e del Tapajòs come acque del Rio delle Amazzoni. A un certo punto della vita il fiume è uno solo, che le acque vengano dal Wisconsin, dall’Illinois, da Des Moines, dal Missouri, dall’Arkansas, dal Minnesota o dal Mississipi.

Che cosa significa? Tre cose: una novità storica, una sfida metafisica e una mutazione religiosa.

La novità storica è ovvia. Le religioni un tempo venivano identificate a seconda della tribù di appartenenza. Successivamente, la loro identità era basata su una credenza dottrinale che si supponeva fosse la forza unificante delle istituzioni religiose. In termini generali ancora oggi definiamo così le religioni. Il prossimo periodo storico metterà l’accento sul fattore esperienziale. Le religioni verranno principalmente identificate dall’insieme di esperienze di fede che gradualmente troveranno le dottrine appropriate e fonderanno strutture e istituzioni più adeguate. La tradizione non è semplicemente la ripetizione del passato ma il «passaggio di mano» (traditio) delle esperienze fin lì accumulate, in forma adeguatamente trasformata. Le caratteristiche polimorfe dell’induismo possono darci un’idea di ciò di cui sto parlando.

Quella che ho chiamato «sfida metafisica» potrebbe essere l’altro nome del pluralismo. (…) La dimensione religiosa degli esseri umani, o religiosità, è qualcosa di più di un mero costrutto sociologico. Le religioni hanno un nucleo mistico.

La sfida metafisica de-assolutizza tutti i nostri modi di pensare e persino di essere. Le religioni non devono per forza seguire le vie note e già percorse. (…)

Le religioni non sono dighe immobili e artificiali che devono contenere l’acqua per produrre energia. Le religioni sono fiumi che scorrono, nutriti dai ghiacciai dei rśi e dei profeti, fonti distinte delle passate tradizioni rinnovate dalle nuvole prossime della storia contemporanea che pure vengono dal cielo per dare vita alla terra e agli esseri umani.

La mutazione religiosa non è frutto di una rivoluzione violenta o di un attacco esterno, ma frutto di una crescita interiore a ogni tradizione. La via non passa dunque dall’apostasia o dall’abbandono della religione, ma da una fedeltà superiore all’insondabile Grazia dello Spirito, che, come dice la Bibbia ebraica, «è un vento silenzioso» (1 Re 19,12)

Siamo co-creatori e non solo delle nostre vite. Siamo anche co-creatori delle nostre religioni. Il futuro del’umanità dipende da questo. Il nuovo millennio sarà determinato da una radicale metanoia umana oppure non sarà. (…)

 

 

Da Raimon Panikkar, Opera Omnia, VI/I, pp. 89-92

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